venerdì 17 marzo 2006


I viaggiatori italiani di professione sono forse poche decine soltanto (fuori d’Italia, e specie nel mondo anglosassone, dove il viaggio di mesi è un’istituzione, la categoria è decisamente più rappresentata), ma influenzano le scelte di molti turisti, e favoriscono l’affermazione di nuove destinazioni. Ad esempio, dopo un periodo di duratura fortuna dell’America centrale e meridionale, un numero sempre maggiore di questi inquieti apripista guarda oggi al sud-est asiatico, come sembrano testimoniare i numerosi libri di viaggio recentemente pubblicati intorno a questa regione.
Il più ambizioso è senza dubbio “Mekong Story. Lungo il cuore d’acqua del Sud-Est asiatico” di Massimo Morello (Touring club editore, Milano 2005, pp.206, € 14,00), il racconto di sei mesi di viaggio risalendo il Mekong, dalle acque scure del delta, nel punto in cui il fiume si allarga con i suoi nove bracci nel Mar della Cina, attraverso Vietnam, Cambogia, Thailandia, Laos, Birmania, Cina e Tibet, fin quasi alle sorgenti, tra le nevi dell’Himalaya, dove il Mekong incontra lo Yangtzekiang, per i cinesi il centro del mondo, seppure di un altro mondo, quello dell’Asia centrale. Il Mekong, navigabile solo per brevi tratti e nella parte terminale, attraversa e definisce una vasta regione di pianure, risaie e montagne, stretta tra Cina e India ma distinta da entrambe, popolata da settanta milioni di persone e da cento gruppi etnici. Il Mekong è un fiume entrato poco e tardi nell’immaginario occidentale, e tuttavia il viaggio lungo le sue rive offre comunque una struttura narrativa familiare (basti ricordare il “Danubio” di Magris), attorno alla quale Morello costruisce un libro interessante, ricco di informazioni e di domande, attraversato da inquietudini personali ed esistenziali, che si conclude come ogni buon libro di viaggio: “Mi sono perduto”.
Il paese più interessante e la meta di tendenza in questa parte di mondo può essere forse considerato il Vietnam, raccontato attraverso una riuscita alternanza di testi e immagini in “Il risveglio del drago. Vietnam: tradizione, presente e futuro” (testi di Umberto Cecchi, foto di Mario ed Elisabetta Marchi, Touring club editore, Milano 2005, pp.192, € 29,90). Il volume è curato e coinvolgente (sono difetti minori, ma non insignificanti, la mancanza di una buona carta geografica, e le didascalie separate dalle foto), e racconta come il Vietnam, muovendo da condizioni difficilissime, abbia saputo riprendersi, a cominciare dall’economia che, pur nel contesto del marxismo ufficiale, a partire dalla fine degli anni Ottanta ha concesso maggior spazio all’iniziativa privata, restituendo il tradizionale ruolo guida alle dinamiche regioni del sud e a Saigon (oggi sempre più di rado chiamata Ho Chi Minh City). Certo la lunga guerra combattuta contro gli Stati Uniti domina ancora i ricordi ed è tuttora ben visibile nel paesaggio, specie al nord, ma molti luoghi sono tornati all’antica bellezza, e anche la memoria collettiva celebra il passato in forme più equilibrate, con qualche inevitabile concessione al turismo, che tutto sdrammatizza: e così a Cu Chi, una trentina di chilometri a nord di Saigon, si visitano i celebri cunicoli utilizzati dai vietcong, che però, con sano realismo, vengono allargati per consentire il passaggio dei robusti turisti americani...
Il passato non dà invece segno di voler passare in Cambogia, dove è ancora troppo vivo il ricordo di una tragedia con pochi precedenti nella storia, un “autogenocidio” che ha ingoiato un quarto della popolazione. Riordinando con cura il diario di tre soggiorni cambogiani (1994, 1998 e 2005), il giornalista Marco Del Corona coglie scorci e prospettive di un paese infinitamente dolente, che pure cerca in qualche modo di recuperare una sua impossibile normalità (“Cattedrali di cenere”, EDT, Torino 2005, pp.144 , € 8,50). Lo sforzo di comprensione è però in larga misura vano, e il visitatore non trova un punto d’equilibrio tra l’immensa arte khmer di Angkor, Partenone d’Asia, e la doverosa visita di Tuol Sleng, l’ex liceo divenuto S-21, il quartiere generale della polizia segreta, dove tra il 1976 e il 1978 furono imprigionate e interrogate migliaia di persone poi trucidate nei vicini killing fields.
Si tratta, come si vede, di libri fortemente diversi, e tuttavia legati tra di loro, come del resto i paesi di questa regione, dove l’Asia mostra al tempo stesso il suo lato più luminoso e più oscuro. Preso atto che il processo di apertura alla modernizzazione e al capitalismo è irreversibile, e forse tutto sommato auspicabile, i viaggiatori sembrano coltivare la speranza che attecchisca qui un modello di globalizzazione diverso da quello cinese, caratterizzato dall’accesso al consumo e dalla continua rimozione del passato; insomma sulle rive del Mekong si immagina (si sogna?) una globalizzazione alternativa, rilassata e sostenibile, sul modello del Vietnam o della Thailandia; una globalizzazione non necessariamente anonima, che sa assimilare e rielaborare, mescolando gli stili e rinnovando la tradizione. Il primo ad aprire questa prospettiva, qualche anno fa, fu l’antropologo Franco La Cecla, in quella che rimane la migliore descrizione del Vietnam contemporaneo (“Good morning karaoke”, TEA, Milano 2004 , pp.144, € 7,80), raccontato con una sguardo apparentemente svagato, da flâneur, ma in realtà fortemente consapevole (si racconta così l’Asia?): “La campagna è viva, popolata dalla varietà di cui paesi come questo sono forse la garanzia. Sta qui la risposta all’invadenza di tipo americano o cinese o giapponese? La gente, lasciata in pace, produce una quantità di cose strane e futili. Il mondo, lasciato in pace, è vario e assurdo.”
Claudio Visentin, Università della Svizzera italiana