All’Epifania, dopo spostamenti quotidiani quasi impercettibili, le statuette dei Re Magi completano la traversata del presepe e arrivano alla capanna di Betlemme: anche questo è un viaggio, se vogliamo, che ricalca quello originario – leggendario, possibile, probabile, storico? - quando i misteriosi viaggiatori di Persia, forse sacerdoti di Zoroastro, giunsero in Palestina domandando dove fosse il re che era nato, in quanto avevano visto la sua stella in Oriente (Mt., 2,2). I Magi, benché venuti da lontano, ed estranei al mondo ebraico e mediterraneo, furono le prime autorità religiose ad adorare Cristo e a riconoscerne il significato. Possono dunque ben figurare all’inizio di un anno di viaggiatori e di forestieri. Certo il testo sacro è assai scarno (solo Matteo li menziona), ma l’immaginazione visiva trova miglior nutrimento nella poesia di Thomas Stearns Eliot “Il viaggio dei Magi”. Il lungo e faticoso percorso vi è descritto con perfetto realismo:
Le vie fangose e la stagione rigida,
Nel cuore dell’inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili [...]
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
E disertavano, e volevano donne e liquori,
E i fuochi notturni s'estinguevano, mancavano ricoveri,
E le città ostili e i paesi nemici
E i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo.
Poi i primi segni, la soddisfazione dell’arrivo, e l’incontro che cambia radicalmente le regole del gioco. Impensabile tornare da Erode, come promesso, e il ritorno al loro Paese, ormai divenuto straniero, sarà dunque per altra via.
Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
E lo farei di nuovo, ma considerate
Questo considerate
Questo: ci trascinammo per tutta quella strada
Per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
Ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,
Ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
Come un'aspra ed amara sofferenza, come la Morte, le nostra morte.
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
Ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
Fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
L’incontro che fu concesso ai Magi è certo un evento straordinario, ma quasi ogni viaggiatore di lungo corso può raccontare di incontri con luoghi e persone che serbano più nitida l’impronta del divino. Viaggio e religione hanno del resto un legame perenne e profondo, tanto che tutta l’esperienza del credente può essere riassunta nel simbolo del viaggio: Io sono la via dice il Signore (Gv, 14,6); E tutti a Lui facciamo ritorno aggiunge il Corano (Sura XXII, 76), presentando la morte quale conclusione della vita, e al tempo stesso inizio di un nuovo viaggio.
In questa prospettiva i pellegrinaggi sono assai meno significativi di quanto potrebbe apparire a prima vista. Certo sono grandi viaggi anch’essi, e i tre principali – a Santiago di Compostela, a Roma e a Gerusalemme – costitutivi della nostra civiltà. Ma in fondo essi sono piuttosto atti celebrativi di un’identità posseduta che non momenti di apertura, di scoperta, di incontro. Forse anche per questo il fondatore dei Sufismo Jalal al-Din Rumi aveva quasi deriso i Musulmani che si affrettavano al pellegrinaggio, come pure è comandato loro da uno dei precetti fondamentali di quella religione.
O gente partita in pellegrinaggio! Dove mai siete, dove mai siete!
L’Amato è qui, tornate, tornate!
L’Amato è un tuo vicino, vivete muro a muro:
Che idea v’è venuta di vagare nel deserto d’Arabia?
Certo Dio è ovunque...
E qual è mai una terra così priva di Te
Che ti si debba cercare in cielo?
spiega il mistico persiano Husayn Mansur al-Hallag. E la prossimità, fisica e spirituale, di Dio all’uomo è anche il tema di un noto racconto dell’Ebraismo chassidico: il povero Rabbi Eisik lasciò Cracovia per cercare a Praga il tesoro che Dio gli aveva promesso in sogno, ma dopo un lungo viaggio scoprì che questo, in realtà, era sepolto proprio a Cracovia, sotto la stufa della sua casa. E tuttavia – viene spontaneo aggiungere – se non fosse andato a Praga non l’avrebbe scoperto mai: dunque quel viaggio non solo non fu inutile, ma anzi fu necessario. Forse Dio vive sempre presso di noi, e proprio per questo non riusciamo a scorgerlo nella vita quotidiana. Forse lo si (ri)conosce, e anche allora con fatica, solo dopo averlo cercato e incontrato per le strade del mondo, come accade ai Magi, o quando si affianca incognito al viaggiatore, come nell’episodio di Emmaus: alcuni discepoli incontrano per via Gesù – la prima apparizione dopo la Resurrezione – ma non lo riconoscono sino a quando compie il gesto suo più caratteristico, lo spezzare del pane. Dio è come la propria casa, che si conosce solo perdendola e ritrovandola attraverso il viaggio. Infatti il luogo dove si è nati e cresciuti è un dato di fatto, un presupposto, ma non lo si conosce veramente nella sua specificità. Come scrive Calvino nelle “Città invisibili”: L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà. Solo dopo essere stati stranieri e ospiti in molte case, si può comprendere la propria. Il viaggiatore deve bussare a ogni porta straniera per giungere alla propria scrive Rabindranath Tagore nel “Viaggio verso casa”, anche se a quel punto anche la propria casa - i Magi di Eliot insegnano - apparirà diversa (ma più vera!) rispetto a come la ricordavamo.
Il “Dio dei viaggiatori” ha volti molteplici, come se lo guardassimo attraverso un prisma, che ne moltiplica l’immagine. Ad ogni frontiera, nuove religioni, nuovi testi sacri, luoghi di culto di forme e stili diversi, cerimonie le più varie... Per questo viaggiando si può indebolire il senso di appartenenza a un credo e a una chiesa particolare, in favore di un certo relativismo. Anche il più grande viaggiatore del Medioevo, Marco Polo veneziano, nel percorrere le sterminate terre d’Asia al servizio del Gran Khan osservò e annotò la varietà delle religioni incontrate: cristiani (ma Nestoriani, cioè eretici); gli odiati saracini, cioè i musulmani; gli idoli, ovvero i seguaci del Buddha; e infine la selvatica gente, tale anche perché priva di una religione degna di questo nome. E anche se Marco rimase sempre fedele al Cristianesimo nel quale era stato cresciuto, nondimeno in più d’una circostanza riconobbe che anche gli altri culti, in alcuni aspetti, erano degni di ammirazione.
Il “Dio dei viaggiatori” è però anche ben presente: non appena si esce dai confini dell’Occidente scettico e consumistico, risalta la concordia con la quale i diversi popoli coltivano e praticano l’idea di un Dio superiore alle miserie umane. E i principi etici delle diverse religioni – quanto meno quelle germogliate dal ceppo d’Abramo - sono spesso assai affini tra loro, nonostante odi e divisioni storiche. E poiché odi e divisioni continuano, e anzi riprendono forza, è bene ricordare, come ammonisce il derviscio Burha Diwana nell’epico romanzo di M.J.Akbar “Fratelli di sangue” (Neri Pozza, 2007), che racconta la storia dell’India contemporanea e dei suoi sanguinosi conflitti religiosi: Dio non divide gli uomini, sono gli uomini a dividere Dio.
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