lunedì 20 marzo 2006

Rushi, ovvero “entrata nel mondo”, è l’acronimo cinese dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), e rende come meglio non si potrebbe l’affacciarsi sulla scena internazionale, quasi per la prima volta nella sua millenaria storia, di quello che soltanto trent’anni fa era uno dei Paesi più chiusi. Questa apertura ha assunto forme diverse, politiche, commerciali e finanziarie naturalmente, senza dimenticare comunque il lancio del primo volo spaziale (nel 2003), la qualificazione per la Coppa del mondo di calcio, o l’organizzazione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino. E tuttavia la diffusa curiosità per l’ “Impero del Centro” si traduce assai di rado in buone guide turistiche. Da qualunque lato la si prenda, la Cina non si lascia descrivere facilmente: è un Paese troppo vasto per essere raccontato da fuori, troppo popolato per essere compreso attraverso i suoi abitanti, troppo complesso per essere rinchiuso nel breve giro di un volume, con una storia troppo lunga per consentire qualunque sintesi.
Il Touring Club Italiano ha tentato di superare queste difficoltà con una guida di buon livello e di nuova concezione, significativamente (ma anche banalmente) battezzata “L’altra guida”. Di formato ridotto e ben illustrata (ma le copertine sono da ripensare), già nel titolo mostra la sua impostazione particolare: gli abitanti del Paese - uomini e donne, giovani e vecchi, la famiglia e i bambini (i famosi figli unici effetto della rigida pianificazione centrale delle nascite) – e la vita quotidiana (le relazioni sociali, i consumi, il tempo libero e gli svaghi) hanno uno spazio almeno pari a quello di argomenti più tradizionali. Di particolare interesse ad esempio le pagine che descrivono il turismo cinese, di cui da qualche tempo si parla molto (generando grandi aspettative), ma spesso a sproposito, e con poca cognizione di causa. Salita al quarto posto nelle destinazioni mondiali dopo Francia, Spagna e Stati Uniti, scavalcando proprio l’Italia, anche la Cina ha da poco scoperto la pratica del turismo: infatti solo nel 1995 il sabato ha smesso di essere dedicato all’istruzione politica, svelando ai cinesi le attrattive del week-end, mentre nel 2000 sono state introdotte tre settimane di ferie pagate, ripartite tra Capodanno (che cade in un periodo variabile tra la metà di gennaio e la metà di febbraio), il primo maggio e la festa nazionale del 1 ottobre, di cui approfittano già tra 70 e 90 milioni di cinesi.
Questo approccio implica naturalmente la rinuncia a priori a ogni tentativo di dare un’informazione compiuta, e anche per questo si tratta di un volume da leggere prima della partenza (o magari dopo il ritorno), ovviamente destinato ad affiancare, più che sostituire, una guida tradizionale, e comunque utile per chiunque abbia relazioni, non solo turistiche, con la Cina. Il risultato è interessante, e la prova è che anche un Paese naturalmente meglio noto ma comunque di difficile comprensione, come il Giappone, argomento del secondo volume della nuova collana, appare in una prospettiva diversa, che mette in discussione molti stereotipi e luoghi comuni sedimentatisi nel tempo.
Lo sforzo maggiore della guida è forse quello di rendere un’identità problematica e in rapida trasformazione: oggi tutto o quasi, in Cina, può essere raccontato da due punti di vista, quello di una tradizione quasi senza tempo, pur se duramente messa alla prova nel XX secolo dalle brusche accelerazioni impresse dal comunismo, e quello determinato dalla recente apertura a forme di produzione e stili di vita occidentali; non senza il sospetto che in Cina i mutamenti e le rivoluzioni nascondano in realtà sotterranee continuità che sfuggono agli occhi degli Occidentali abituati, anche da turisti, a cogliere ciò che si trasforma piuttosto che ciò che permane. Ma bisogna forse entrare nell’ordine di idee che in viaggio non dovremmo cercare solo risposte, e che lasciar spazio a una nuova curiosità, o individuare una domanda intelligente da porre al Paese visitato, è comunque un acquisto. Anche correndo il rischio di subire il rimprovero che ne “Le città invisibili” di Calvino l’imperatore dei Tartari Kublai Kan rivolge a Marco Polo: “Gli altri ambasciatori mi avvertono di carestie, di concussioni, di congiure, oppure mi segnalano miniere di turchesi nuovamente scoperte, prezzi vantaggiosi nelle pelli di martora, proposte di forniture di lame damascate. E tu? – chiese a Polo il Gran Kan. – Torni da paesi altrettanto lontani e tutto quello che sai dirmi sono i pensieri che vengono a chi prende il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve allora tanto viaggiare?”
Catherine Bourzat, "Cinesi e Cina", traduzione di Donatella Volpi, Il Viaggiatore (Touring Club editore), Milano 2005, pp.180, € 12,00.
Philippe Pons e Pierre-François Souyri, "Giapponesi e Giappone", traduzione di Luciana Saetti, Il Viaggiatore (Touring Club editore), Milano 2005, pp.160, € 12,00
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(Claudio Visentin, Università della Svizzera italiana)