Una storia del Touring Club Italiano? Strano non averci pensato prima, ed è senz’altro appropriato che tale ricerca appaia in una collana dedicata all’identità italiana, per mano di Stefano Pivato, uno dei nostri migliori storici del tempo libero. Diciamo subito che il suo lavoro è documentato, interessante, e al tempo stesso di piacevole lettura. Nei limiti consentiti a una sintetica opera di alta divulgazione, Pivato riesce a proporre una prima visione d’insieme della storia del Touring, di cui avevamo sin qui solo la cronaca. Difetto minore l’esser partito troppo da lontano (il Grand Tour!), e qualche problema di proporzioni (gli ultimi capitoli sono più svelti ed efficaci dei primi), ma tale distribuzione della materia riflette anche la visione di Pivato, nella quale il Touring, potremmo dire, nasce già adulto, ma muore giovane... In effetti, pur consapevoli del rischio di tesserne l’apologia, è difficile sottrarsi al fascino del primo Touring: profondamente milanese (qui ebbe sempre i suoi organi di governo) nel senso migliore del termine, con una sana diffidenza per Roma e il sud; liberale sul modello inglese, assai più dei governi del tempo, ma in forme aperte e con un largo spirito associativo, educativo e democratico (e anche per questo guardato con sospetto da socialisti e cattolici); ben collegato alla nascente industria italiana, nella città del Politecnico; determinato nel perseguire un’idea semplice ed efficace, e cioè che la pratica dello sport, l’adozione dei nuovi mezzi di trasporto (bicicletta, auto) e migliori collegamenti avrebbero accelerato la modernizzazione del Paese; sorretto da un forte spirito nazionale, nella convinzione che solo attraverso la conoscenza diretta dell’Italia si poteva completare l’opera del Risorgimento (“L’Italia farà gli Italiani!”).
Tale ruolo, secondo Pivato, entra tuttavia in crisi quando il fascismo (con cui il Touring, tra alti e bassi, trova comunque un terreno d’intesa) fa propria larga parte del programma dell’associazione, occupandosi in prima persona del turismo, attraverso le istituzioni pubbliche e iniziative quali i celeberrimi “treni popolari”, con il risultato di relegare il Touring in un ruolo sussidiario (ma a questo proposito andrebbe approfondito quel divario tra i roboanti programmi e la loro effettiva realizzazione che fu caratteristico del fascismo). Né il Touring, sempre secondo Pivato, riesce a recuperare la perduta influenza nel secondo dopoguerra, quando il turismo s’impone definitivamente nella vita del Paese, ma in forme ludiche e consumistiche, poco toccate anche da quella nuova sensibilità ambientale e paesaggistica di cui il Touring andava dotandosi.
E così, dopo molti e meritati elogi, Pivato giunge ad una conclusione paradossale, quasi un epitaffio: “dopo oltre un secolo di vita, gli ideali e la cultura del Touring non appartengono che in minima parte alla identità del nostro Paese.” Ma è davvero così? Il giudizio è forse troppo drastico. Di certo chiudendo il volume di Pivato ci si chiede cosa il futuro riservi all’illustre sodalizio milanese che, nonostante tutte le sue attività, sembra a volte un gigante addormentato... Anche la straordinaria produzione di guide turistiche, avviata già tra le due guerre, ha finito per trasformare il Touring soprattutto in un grande editore, a scapito però della concreta vita associativa, riducendo e rendendo così più indiretta la sua influenza nella società. Ha il Touring oggi la capacità e la forza di avviare una riflessione ampia e spregiudicata sul proprio ruolo? Ad esempio affrontando il problema di come coinvolgere maggiormente i giovani, o ripensando quelle forme di governo profondamente accentrate, che hanno dato buona prova in altri tempi e con uomini straordinari come Luigi Bertarelli, ma che non sono forse adatte ai tempi nostri. E se, seguendo Pivato, lo stato in passato ha sottratto competenze al Touring, ha mostrato poi anche di non saperle gestire al meglio (pensiamo alla promozione turistica), così che vi sarebbe forse spazio per una nuova iniziativa più schiettamente politica. Infine, il mondo del turismo è percorso da numerose, positive inquietudini, e il turista di massa è sempre più spesso affiancato da altri più consapevoli e responsabili, che già in buona parte militano nelle fila dell’associazione milanese. Faranno abbastanza rumore da svegliare il gigante?
Stefano Pivato, "Il Touring Club Italiano”, Il Mulino, Bologna 2006, 166 pp., € 12,00
Tale ruolo, secondo Pivato, entra tuttavia in crisi quando il fascismo (con cui il Touring, tra alti e bassi, trova comunque un terreno d’intesa) fa propria larga parte del programma dell’associazione, occupandosi in prima persona del turismo, attraverso le istituzioni pubbliche e iniziative quali i celeberrimi “treni popolari”, con il risultato di relegare il Touring in un ruolo sussidiario (ma a questo proposito andrebbe approfondito quel divario tra i roboanti programmi e la loro effettiva realizzazione che fu caratteristico del fascismo). Né il Touring, sempre secondo Pivato, riesce a recuperare la perduta influenza nel secondo dopoguerra, quando il turismo s’impone definitivamente nella vita del Paese, ma in forme ludiche e consumistiche, poco toccate anche da quella nuova sensibilità ambientale e paesaggistica di cui il Touring andava dotandosi.
E così, dopo molti e meritati elogi, Pivato giunge ad una conclusione paradossale, quasi un epitaffio: “dopo oltre un secolo di vita, gli ideali e la cultura del Touring non appartengono che in minima parte alla identità del nostro Paese.” Ma è davvero così? Il giudizio è forse troppo drastico. Di certo chiudendo il volume di Pivato ci si chiede cosa il futuro riservi all’illustre sodalizio milanese che, nonostante tutte le sue attività, sembra a volte un gigante addormentato... Anche la straordinaria produzione di guide turistiche, avviata già tra le due guerre, ha finito per trasformare il Touring soprattutto in un grande editore, a scapito però della concreta vita associativa, riducendo e rendendo così più indiretta la sua influenza nella società. Ha il Touring oggi la capacità e la forza di avviare una riflessione ampia e spregiudicata sul proprio ruolo? Ad esempio affrontando il problema di come coinvolgere maggiormente i giovani, o ripensando quelle forme di governo profondamente accentrate, che hanno dato buona prova in altri tempi e con uomini straordinari come Luigi Bertarelli, ma che non sono forse adatte ai tempi nostri. E se, seguendo Pivato, lo stato in passato ha sottratto competenze al Touring, ha mostrato poi anche di non saperle gestire al meglio (pensiamo alla promozione turistica), così che vi sarebbe forse spazio per una nuova iniziativa più schiettamente politica. Infine, il mondo del turismo è percorso da numerose, positive inquietudini, e il turista di massa è sempre più spesso affiancato da altri più consapevoli e responsabili, che già in buona parte militano nelle fila dell’associazione milanese. Faranno abbastanza rumore da svegliare il gigante?
Stefano Pivato, "Il Touring Club Italiano”, Il Mulino, Bologna 2006, 166 pp., € 12,00
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