“Come posso migliorare il mio modo di viaggiare?”. È la domanda che più frequentemente mi viene rivolta, dai più diversi interlocutori, quando apprendono che di questo mi occupo. A tutti rispondo: “Chiudete gli occhi”. Chiudete gli occhi perché la vista - ovviamente insostituibile - è troppo spesso il solo senso che impieghiamo nell’esperienza del viaggio, a scapito dei rimanenti. È vero che in tempi più recenti abbiamo imparato a leggere il territorio anche attraverso il gusto. Scriveva Italo Calvino: “il vero viaggio, in quanto introiezione d’un fuori diverso dal nostro abituale, implica un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura (...) Questo è il solo modo di viaggiare che abbia un senso oggigiorno, quando tutto ciò che è visibile lo puoi vedere anche alla televisione senza muoverti dalla tua poltrona”. E altri propongono viaggi musicali (ad esempio www.noteinviaggio.it), tuttavia quasi nessuno viaggia seguendo l’olfatto, il più antico tra i nostri sensi, quello che maggiormente ci lega alla dimensione animale, risvegliando le emozioni, ma sottraendosi al controllo razionale, ragione per cui Aristotele lo mise all’ultimo posto tra i sensi.
In questa prospettiva è prezioso il libro dell’antropologo Gianni De Martino e dell’erborista e compositore di profumi Luigi Cristiano. De Martino e Cristiano hanno raccolto i loro viaggi seguendo i più nobili tra gli odori, i profumi, e più precisamente hanno visitato i luoghi d’origine delle materie prime, dei prodotti naturali con cui i profumi sono preparati (anche se la chimica gioca un ruolo sempre più importante). Hanno poi opportunamente approfondito molti altri aspetti dei territori dove queste sostanze sono prodotte, e dei popoli che le coltivano. Meno riuscita invece l’individuazione del pubblico a cui il libro si rivolge, se studiosi, specialisti o semplici lettori.
Tra i diversi viaggi proposti, inevitabile partire dalle rose, il cui profumo è forse il più apprezzato nell’universale. L’odor di rosa ci conduce in uno dei Paesi prediletti dai profumieri, il Marocco, dove si dà il benvenuto all’ospite di passaggio offrendogli acqua di rose da piccoli contenitori dal collo oblungo (mrash’). La meta finale è la vallata di Dadès (300 km da Marrakech), sulla soglia del deserto, dove si stendono a perdita d’occhio campi di rosa pallida, e dove, nelle prime settimane di maggio, in occasione della raccolta, tutta la popolazione dà vita all’indimenticabile Festa delle rose. Le rose vi condurranno anche in altri luoghi affascinanti e sconosciuti, ad esempio tra le distese di rosa damascena di Isparta, nelle valli del Taurus in Turchia (dove la rosa è chiamata gul, che vuol dire anche “sorriso”): qui la rosa fu introdotta dalla Bulgaria, quando ancora apparteneva all’impero ottomano, e proprio questo Paese balcanico può rappresentare la terza tappa di questo viaggio così particolare. Altre piante e altri aromi vi orienteranno in tutt’altra direzione. Ad esempio la rara e ambita vaniglia naturale (la maggior parte di quella che consumiamo è invece artificiale) vi condurrà nelle terre dell’antico popolo dei Totonachi (Stato di Puebla e Veracruz); sottomessi dai più combattivi Aztechi, i Totonachi diedero loro tributi in vaniglia, e proprio alla corte azteca i nuovi conquistatori, gli spagnoli guidati da Hernàn Cortès, sperimentarono per la prima volta questa nuova e profumata sostanza, che da loro prese il nome attuale, colorandosi di erotismo (in spagnolo vainilla è diminutivo di vaina/vagina). Le verdi e morbide liane di vaniglia crescono ancora oggi nell’umida foresta messicana, o sono coltivate in piccoli appezzamenti sposandole ad alberi di arancio, ma la maggior parte della produzione è migrata verso il Madagascar e l’Indonesia, ideale prosecuzione di questo viaggio.
I profumi possono anche innescare viaggi nel tempo, ad esempio tra le rovine di Pompei, dove si visita la Casa del profumiere, che doveva essere solo uno dei molti piccoli ed eleganti negozi di sostanze odorose. Il profumo dei bianchi fiori degli aranci amari ci porta invece nella Spagna araba, a Siviglia, dove presso i resti della moschea, trasformata in cattedrale nel XV secolo, si trova il Patio de los naranjos. E proprio alla civiltà araba di Spagna si deve in larga parte la riscoperta medioevale dei profumi, nei giardini silenziosi e nascosti d’Andalusia, odorosi di camomilla, giglio, lavanda, limone, menta, mirto, rosmarino... Gli Arabi erano (e sono) soliti profumarsi per le preghiere del venerdì, nelle moschee si bruciavano piante e legni odorosi (aloe, incenso, sandalo), e durante il loro dominio in Andalusia importarono nella profumeria europea anche i pesanti e inebrianti profumi dell’oriente (ambra, muschio animale), profumi che oggi ci sono ritornati in larga parte stranieri, e che agli stranieri associamo. E ancora solo nella memoria si trovano le tracce delle vaste coltivazioni di gelsomino in Sicilia, oggi trasferite in Tunisia ed Egitto (ma a Modica si può gustare un originale gelato al gelsomino). È sempre vivo invece il profumo del Tiaré, la gardenia di Tahiti, simbolo nazionale del Paese che sedusse Gauguin, richiamandolo con forza a sé qualche mese dopo il suo ritorno a Parigi: “Nel silenzio della mia casa, sogno le armonie violente dei profumi naturali che m’inebriano...”.
Ma in fondo non occorre nemmeno spingersi così lontano, nello spazio e nel tempo. Possiamo viaggiare anche solo entrando in una profumeria, per acquistare Un jardin sur le Nil di Hermes, o Arabie di Serge Lutens; e per dischiudere le porte d’Oriente bastano Samsara di Jean-Paul Guerlain, o Opium d’Yves Saint Laurent. Ma nessuno promette un viaggio più raffinato di Un certain été à Livadia, di Christine Nigel, che ci porta in Crimea, nei giardini del palazzo di Livadia, ultima residenza d’estate degli zar. E dunque, se d’abitudine chiediamo a chi torna da un lungo viaggio: “Cos’hai visto?”, la prossima volta forse gli chiederemo piuttosto: “Cos’hai annusato?”.
Luigi Cristiano e Gianni De Martino, “Viaggi e profumi. Alla scoperta degli aromi del mondo naturale nei Paesi delle essenze”, Urra, Milano 2007, pp.184, € 12,00.
In questa prospettiva è prezioso il libro dell’antropologo Gianni De Martino e dell’erborista e compositore di profumi Luigi Cristiano. De Martino e Cristiano hanno raccolto i loro viaggi seguendo i più nobili tra gli odori, i profumi, e più precisamente hanno visitato i luoghi d’origine delle materie prime, dei prodotti naturali con cui i profumi sono preparati (anche se la chimica gioca un ruolo sempre più importante). Hanno poi opportunamente approfondito molti altri aspetti dei territori dove queste sostanze sono prodotte, e dei popoli che le coltivano. Meno riuscita invece l’individuazione del pubblico a cui il libro si rivolge, se studiosi, specialisti o semplici lettori.
Tra i diversi viaggi proposti, inevitabile partire dalle rose, il cui profumo è forse il più apprezzato nell’universale. L’odor di rosa ci conduce in uno dei Paesi prediletti dai profumieri, il Marocco, dove si dà il benvenuto all’ospite di passaggio offrendogli acqua di rose da piccoli contenitori dal collo oblungo (mrash’). La meta finale è la vallata di Dadès (300 km da Marrakech), sulla soglia del deserto, dove si stendono a perdita d’occhio campi di rosa pallida, e dove, nelle prime settimane di maggio, in occasione della raccolta, tutta la popolazione dà vita all’indimenticabile Festa delle rose. Le rose vi condurranno anche in altri luoghi affascinanti e sconosciuti, ad esempio tra le distese di rosa damascena di Isparta, nelle valli del Taurus in Turchia (dove la rosa è chiamata gul, che vuol dire anche “sorriso”): qui la rosa fu introdotta dalla Bulgaria, quando ancora apparteneva all’impero ottomano, e proprio questo Paese balcanico può rappresentare la terza tappa di questo viaggio così particolare. Altre piante e altri aromi vi orienteranno in tutt’altra direzione. Ad esempio la rara e ambita vaniglia naturale (la maggior parte di quella che consumiamo è invece artificiale) vi condurrà nelle terre dell’antico popolo dei Totonachi (Stato di Puebla e Veracruz); sottomessi dai più combattivi Aztechi, i Totonachi diedero loro tributi in vaniglia, e proprio alla corte azteca i nuovi conquistatori, gli spagnoli guidati da Hernàn Cortès, sperimentarono per la prima volta questa nuova e profumata sostanza, che da loro prese il nome attuale, colorandosi di erotismo (in spagnolo vainilla è diminutivo di vaina/vagina). Le verdi e morbide liane di vaniglia crescono ancora oggi nell’umida foresta messicana, o sono coltivate in piccoli appezzamenti sposandole ad alberi di arancio, ma la maggior parte della produzione è migrata verso il Madagascar e l’Indonesia, ideale prosecuzione di questo viaggio.
I profumi possono anche innescare viaggi nel tempo, ad esempio tra le rovine di Pompei, dove si visita la Casa del profumiere, che doveva essere solo uno dei molti piccoli ed eleganti negozi di sostanze odorose. Il profumo dei bianchi fiori degli aranci amari ci porta invece nella Spagna araba, a Siviglia, dove presso i resti della moschea, trasformata in cattedrale nel XV secolo, si trova il Patio de los naranjos. E proprio alla civiltà araba di Spagna si deve in larga parte la riscoperta medioevale dei profumi, nei giardini silenziosi e nascosti d’Andalusia, odorosi di camomilla, giglio, lavanda, limone, menta, mirto, rosmarino... Gli Arabi erano (e sono) soliti profumarsi per le preghiere del venerdì, nelle moschee si bruciavano piante e legni odorosi (aloe, incenso, sandalo), e durante il loro dominio in Andalusia importarono nella profumeria europea anche i pesanti e inebrianti profumi dell’oriente (ambra, muschio animale), profumi che oggi ci sono ritornati in larga parte stranieri, e che agli stranieri associamo. E ancora solo nella memoria si trovano le tracce delle vaste coltivazioni di gelsomino in Sicilia, oggi trasferite in Tunisia ed Egitto (ma a Modica si può gustare un originale gelato al gelsomino). È sempre vivo invece il profumo del Tiaré, la gardenia di Tahiti, simbolo nazionale del Paese che sedusse Gauguin, richiamandolo con forza a sé qualche mese dopo il suo ritorno a Parigi: “Nel silenzio della mia casa, sogno le armonie violente dei profumi naturali che m’inebriano...”.
Ma in fondo non occorre nemmeno spingersi così lontano, nello spazio e nel tempo. Possiamo viaggiare anche solo entrando in una profumeria, per acquistare Un jardin sur le Nil di Hermes, o Arabie di Serge Lutens; e per dischiudere le porte d’Oriente bastano Samsara di Jean-Paul Guerlain, o Opium d’Yves Saint Laurent. Ma nessuno promette un viaggio più raffinato di Un certain été à Livadia, di Christine Nigel, che ci porta in Crimea, nei giardini del palazzo di Livadia, ultima residenza d’estate degli zar. E dunque, se d’abitudine chiediamo a chi torna da un lungo viaggio: “Cos’hai visto?”, la prossima volta forse gli chiederemo piuttosto: “Cos’hai annusato?”.
Luigi Cristiano e Gianni De Martino, “Viaggi e profumi. Alla scoperta degli aromi del mondo naturale nei Paesi delle essenze”, Urra, Milano 2007, pp.184, € 12,00.
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