Esiste il viaggio perfetto? Per me è il viaggio siciliano (e mi verrebbe da aggiungere, per ragioni anche di affettuosa consuetudine: nella Sicilia occidentale, a Marsala). Ma credo che questa non sia solo la mia opinione. Quanto meno lo credeva anche il grande critico letterario Mario Praz: “Il massimo piacere del viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio si unisce lo spostamento nel tempo. ... In Sicilia il retroscena storico è profondissimo, e la varietà del paesaggio supplisce alla relativa ristrettezza spaziale, sicché si potrebbe facilmente sostenere che quello di Sicilia è il viaggio perfetto”. Se credete, anche voi potete fare una prova: durante una conversazione serale tra amici ragionevolmente coltivati, portate il discorso sui viaggi, e menzionate diverse possibili destinazioni; i pareri saranno inevitabilmente discordi. Accennate poi alla Sicilia, e vedrete i volti di tutti illuminarsi, nel ricordo o nell’aspettativa. Nessun’altra terra del resto fu tanto amata. Teocrito, originario di Siracusa, pensava che non vi fosse al mondo nulla di più bello che contemplare dall’alto di una riva il mare di Sicilia; e diversi poeti arabi piansero lacrime amare quando dovettero abbandonare l’isola: “Se son stato cacciato da un paradiso, come posso io darne notizia?”, scrive ad esempio Ibn Amdìs. Ancora Goethe ne ribadisce la centralità nel viaggio italiano: “Senza conoscere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto.” E molti libri recenti, tra cui quelli di Matteo Collura, ne perpetuano la fascinazione.
Che cosa dunque rende così speciale quest’isola al centro del Mediterraneo? In primo luogo, ovviamente, il clima: il sole, l’aria mite anche nelle stagioni fredde, i profumi di terra e di mare... E poi il paesaggio naturalmente, fantasticamente variato di vulcani, monti, colline, piane, riviere, disegnato da una luce che sembra scaturire dalle cose stesse. Un paesaggio che non è mai sfondo inerte, che sembra partecipare alle vicende umane: “Questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’arsura dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali”, lamentava Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Viene poi la storia, infinita, millenaria, stratificata, diversa nelle tre parti in cui l’isola (Trinacria) è tradizionalmente divisa: la sicilia orientale “greca”, l’occidentale “fenicia”, la centrale, chiusa in sé stessa e quasi dimentica del mare. Una civiltà ricca e variata in ogni suo aspetto è sorta dagli scambi, dagli incroci, dalle contaminazioni con fenici, greci, cartaginesi, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi... Naturalmente non mancano in questa storia, e specie nella più recente, anche le zone d’ombra: il degrado ambientale, l’abusivismo edilizio, i disservizi, la corruzione nella politica, o quella mafia tanto famosa, che tutti i viaggiatori hanno in mente, e di cui cercano i segni nei luoghi o sui volti delle persone, senza peraltro trovarli mai... Ma credo che questi elementi negativi, di cui i viaggiatori sono peraltro quasi sempre ben consapevoli, non pregiudicano oltre un certo limite il fascino della Sicilia, semmai lo rendono piacevolmente ambiguo e inquietante. Del resto il viaggiatore, nel suo breve soggiorno, può facilmente adattarsi, o addirittura trovare interessanti, quelle che per i locali sono quotidiane pene.
Ma in fondo la vera attrattiva del viaggio siciliano sono i siciliani stessi (e, oltre ai libri di Collura, ricercate anche Gaetano Savatteri, “I siciliani”, Laterza 2005): uomini complessi e affascinanti, levigati dal tempo e resi splendidamente scettici dal succedersi delle dominazioni, soprattutto duplici e contraddittori in ogni loro aspetto. E così le più lucide intelligenze sono spesso attraversate da una sottile vena di pazzia. Ad Agrigento, terra di Pirandello (era nato in contrada Caos), sorgeva il più grande manicomio di Sicilia, che sul frontone recava scritto: “Non tutti lo sono, non tutti ci sono.” E il gioco degli opposti può continuare all’infinito. Il più tenace attaccamento al proprio luogo d’origine ha consentito infinite emigrazioni: siciliani di scoglio e di mare aperto. La teatralità dei gesti facilmente si muta in chiusa riservatezza, e l’ospitalità più splendida (chi non ha conosciuto l’ospitalità siciliana non sa cosa sia la vera ospitalità) si alterna alla diffidenza verso gli estranei. La liberalità va insieme a un feroce attaccamento ai propri beni (la roba di Mastro don Gesualdo). La pubblica visibilità degli uomini non intacca il privato potere delle donne, vestite di scuro, in un angolo della casa: “l’uomo comanda, la donna decide”, si dice in Sicilia, dove la dialettica uomo/donna (masculi e fimmini) è tra le più complicate. E in nessun altro luogo, come nel paese della luce, è così forte la presenza del buio e della morte, esorcizzata e celebrata nei fastosi funerali (che si alternano a matrimoni di lusso leggendario). Se chiedete a un siciliano come sta, riceverete per risposta: “Qui siamo”, sintetica e saggia riaffermazione di quanto sia precario il nostro stare al mondo.
In fondo, tutto questo ci conduce ad una semplice conclusione: la Sicilia, a differenza della più chiusa Sardegna, non è un’isola, quanto piuttosto un continente in miniatura, che non si finisce mai di comprendere e di amare. Ben lo sapeva Gesualdo Bufalino, il meno siciliano degli scrittori isolani: “Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e di costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante...”. E Matteo Collura, riprendendo l’amato Sciascia, di cui ha scritto una bella biografia, può concludere felicemente che “La Sicilia è metafora del mondo: un’isola che non potrà mai essere collegata con un ponte, per la semplice ragione che è impossibile collegare un continente a un altro, anche servendosi delle tecniche ingegneristiche più strabilianti ed efficaci”.
Che cosa dunque rende così speciale quest’isola al centro del Mediterraneo? In primo luogo, ovviamente, il clima: il sole, l’aria mite anche nelle stagioni fredde, i profumi di terra e di mare... E poi il paesaggio naturalmente, fantasticamente variato di vulcani, monti, colline, piane, riviere, disegnato da una luce che sembra scaturire dalle cose stesse. Un paesaggio che non è mai sfondo inerte, che sembra partecipare alle vicende umane: “Questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’arsura dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali”, lamentava Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Viene poi la storia, infinita, millenaria, stratificata, diversa nelle tre parti in cui l’isola (Trinacria) è tradizionalmente divisa: la sicilia orientale “greca”, l’occidentale “fenicia”, la centrale, chiusa in sé stessa e quasi dimentica del mare. Una civiltà ricca e variata in ogni suo aspetto è sorta dagli scambi, dagli incroci, dalle contaminazioni con fenici, greci, cartaginesi, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi... Naturalmente non mancano in questa storia, e specie nella più recente, anche le zone d’ombra: il degrado ambientale, l’abusivismo edilizio, i disservizi, la corruzione nella politica, o quella mafia tanto famosa, che tutti i viaggiatori hanno in mente, e di cui cercano i segni nei luoghi o sui volti delle persone, senza peraltro trovarli mai... Ma credo che questi elementi negativi, di cui i viaggiatori sono peraltro quasi sempre ben consapevoli, non pregiudicano oltre un certo limite il fascino della Sicilia, semmai lo rendono piacevolmente ambiguo e inquietante. Del resto il viaggiatore, nel suo breve soggiorno, può facilmente adattarsi, o addirittura trovare interessanti, quelle che per i locali sono quotidiane pene.
Ma in fondo la vera attrattiva del viaggio siciliano sono i siciliani stessi (e, oltre ai libri di Collura, ricercate anche Gaetano Savatteri, “I siciliani”, Laterza 2005): uomini complessi e affascinanti, levigati dal tempo e resi splendidamente scettici dal succedersi delle dominazioni, soprattutto duplici e contraddittori in ogni loro aspetto. E così le più lucide intelligenze sono spesso attraversate da una sottile vena di pazzia. Ad Agrigento, terra di Pirandello (era nato in contrada Caos), sorgeva il più grande manicomio di Sicilia, che sul frontone recava scritto: “Non tutti lo sono, non tutti ci sono.” E il gioco degli opposti può continuare all’infinito. Il più tenace attaccamento al proprio luogo d’origine ha consentito infinite emigrazioni: siciliani di scoglio e di mare aperto. La teatralità dei gesti facilmente si muta in chiusa riservatezza, e l’ospitalità più splendida (chi non ha conosciuto l’ospitalità siciliana non sa cosa sia la vera ospitalità) si alterna alla diffidenza verso gli estranei. La liberalità va insieme a un feroce attaccamento ai propri beni (la roba di Mastro don Gesualdo). La pubblica visibilità degli uomini non intacca il privato potere delle donne, vestite di scuro, in un angolo della casa: “l’uomo comanda, la donna decide”, si dice in Sicilia, dove la dialettica uomo/donna (masculi e fimmini) è tra le più complicate. E in nessun altro luogo, come nel paese della luce, è così forte la presenza del buio e della morte, esorcizzata e celebrata nei fastosi funerali (che si alternano a matrimoni di lusso leggendario). Se chiedete a un siciliano come sta, riceverete per risposta: “Qui siamo”, sintetica e saggia riaffermazione di quanto sia precario il nostro stare al mondo.
In fondo, tutto questo ci conduce ad una semplice conclusione: la Sicilia, a differenza della più chiusa Sardegna, non è un’isola, quanto piuttosto un continente in miniatura, che non si finisce mai di comprendere e di amare. Ben lo sapeva Gesualdo Bufalino, il meno siciliano degli scrittori isolani: “Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e di costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante...”. E Matteo Collura, riprendendo l’amato Sciascia, di cui ha scritto una bella biografia, può concludere felicemente che “La Sicilia è metafora del mondo: un’isola che non potrà mai essere collegata con un ponte, per la semplice ragione che è impossibile collegare un continente a un altro, anche servendosi delle tecniche ingegneristiche più strabilianti ed efficaci”.
Etichette: Recensione "Azione"
1 Comments:
Ciao,
abbiamo linkato il vostro blog al sito www.occhiocieco.com/marsala
Complimenti e buon lavoro.
Gianluca Giacalone.
Responsabile Occhiocieco.com
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