martedì 13 novembre 2007

(Il mercato del Capo di Palermo - foto di Andrea Pistolesi)

“Due donne e un’oca fanno un mercato”, sostiene un proverbio piemontese, che credo diffuso in varie forme anche altrove. Per una volta non è solo misoginia, quanto piuttosto il riconoscimento dell’importanza delle donne in quest’ambito, specie in Africa e Asia, dove a loro è tradizionalmente affidato il piccolo commercio (che a volte diventa grande, come in Togo, dove le “regine del mercato” sono chiamate “Nana benz” per lo sfoggio di Mercedes).
E proprio ai mercati di tutto il mondo è dedicato l’ultimo libro del fotografo Andrea Pistolesi, che ha raccolto e accostato con intelligenza oltre 300 immagini scattate in una lunga serie di viaggi nei cinque continenti. Il filo rosso che consente di tenere assieme realtà tanto diverse è la metafora teatrale, l’idea cioè che il mercato, qualunque mercato, sia sempre costruito intorno ad alcuni elementi ricorrenti.
Prima di tutto viene l’equivalente della locandina teatrale, ovvero tutto ciò che serve ad attirare e incuriosire i clienti, e quindi vetrine e insegne, che spaziano da semplici cartelli scritti a mano a complicate scritte fluorescenti.
Gli attori principali sono naturalmente i venditori, colti all’opera o dietro le quinte: poveri ambulanti o eleganti commesse, impassibili venditori orientali o chiassosi meridionali, che gridano, scherzano coi clienti e magnificano con improbabili iperboli i loro prodotti.
L’equivalente del palcoscenico teatrale sono i luoghi del mercato, anche qui i più diversi, all’aperto o al chiuso, di giorno o di notte: a volte un semplice cesto, una barca, le strade, un qualunque piazzale vuoto, che tuttavia nei giorni fissati cambia volto e si copre di bancarelle; e ancora i bazar, i suq, fino ai scintillanti saloni dei centri commerciali. Da noi la scena è quasi sempre la piazza, e quante si chiamano proprio “Piazza del mercato”.
L’argomento della rappresentazione teatrale è naturalmente sempre uno e uno soltanto: il prodotto in vendita, ovvero qualunque oggetto riusciate ad immaginare, più molti altri che mai vi verrebbero in mente. Ci sono mercati specializzati (frutta e verdura ad esempio) e altri dove trovi di tutto: è normale vendere dromedari al Bakti Market di Amhara in Etiopia, o i bufali al mercato di Can Cau in Vietnam, ma anche statue di Padre Pio a S.Giovanni Rotondo o di Lenin a San Pietroburgo.
Infine il mercato è teatrale soprattutto nell’eterna, complice schermaglia tra venditori e clienti (i comprimari), che comincia con la finta indifferenza di questi ultimi, o l’altrettanto finto stupore per un prezzo troppo alto, premessa di lunghe trattative e mercanteggiamenti, che si concludono, se tutto va bene, nell’acquisto e nel gesto più simbolico, lo scambio tra la merce e il denaro, l’essenza stessa del mercato. Ci sono anche altri gesti simili ovunque, a cominciare dal dito alzato: “Scusi, tocca a me”, o al contrario piccoli riti di un particolare mercato: al Pike Place Market di Seattle, una volta scelto il pesce da acquistare, tradizione vuole che il commesso lo lanci con destrezza al cassiere, dall’altra parte della stanza.
Nella visione dell’autore, le affinità dovrebbero prevalere sulle diversità, nel ripetersi di gesti e situazioni, ma di fatto poi, scorrendo il volume, l’attenzione del lettore si concentra quasi per intero sugli sgangherati, animati e coloratissimi mercati dell’Africa, dell’Asia o dell’America Latina, quel mondo NAG (Non Ancora Global) che Pistolesi ha celebrato, rimpiangendone la prossima scomparsa, in un altro suo libro appena uscito. Credo che quello che ci affascina nei mercati dei Paesi poveri sia il prevalere della funzione sociale su quella economica: frequentare il mercato rafforza i vincoli comunitari, è luogo di corteggiamento, occasione per incontrare amici e parenti, scambio di parole prima che di merci.
Il mercato è anche una risorsa preziosa per il viaggiatore che desidera conoscere più a fondo i luoghi visitati. Niente di meglio, per acclimatarsi in una città sconosciuta, che alzarsi presto e recarsi a visitare il mercato locale, ad esempio il mercato del pesce delle città mediterranee, che si anima alle prime luci del giorno con il ritorno dei pescherecci. Ma forse il racconto di questi viaggi lontani risveglierà in qualche lettore anche la curiosità di visitare i mercati del cantone, a cominciare da quello di Bellinzona il sabato mattina naturalmente, oppure quelli che si spostano di paese in paese sulla base di complicati e antichi calendari settimanali, che legano comunità diverse. Per i “viaggiatori d’Occidente” lontano e vicino, in fondo, sono soprattutto negli occhi di chi guarda.

Andrea Pistolesi, “Un mondo di mercati”, Touring Club Italiano, Milano 2007, pp.384, €19,50; “NAG. Non ancora global”, Touring Club Italiano, Milano 2007, pp.192, €19,50

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