Nella nuova Europa i confini non separano più. Tra pochi giorni anche la Slovenia entrerà nello spazio di Schengen, e verranno aboliti i controlli di polizia alle frontiere terrestri e marittime con l’Italia. La dolorosa separazione tra Gorizia e Nova Gorica, che dura dal 1947, apparterrà al passato, e Trieste ritroverà la sua centralità storica nell’area che si affaccia sui Balcani. Niente di nuovo del resto, se consideriamo i tempi lunghi della storia anziché quelli brevissimi della cronaca. l confini, che i trattati pretendevano eterni, sono sempre stati quanto mai ballerini, e comunque hanno sempre avuto diversi gradi di permeabilità: chiusi e difesi ad ogni costo in tempo di guerra, aperti al passaggio dei viaggiatori e delle merci in tempo di pace. E proprio perché sono luoghi densamente simbolici, carichi di significato, i confini possono essere destinazioni per il viaggiatore colto e curioso, e non solo luoghi di transito.
Intorno a questa intuizione l’antropologa Stefania Seghetti e il fotografo Paolo Soriani hanno costruito un affascinante progetto documentario, che si è tradotto in un libro e in una mostra itinerante (www.assenzadeiconfini.com). I due hanno percorso i diversi luoghi di confine che separano l’Italia dai paesi di area Schengen, raccontando frontiere importanti, ma anche semplici valichi stagionali. Da Gorizia appunto, verso Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia, al confine con la Slovenia e la Carinzia; un confine tormentato, quanto quello italo-austriaco in Trentino Alto Adige (Prato alla Drava e San Candido), sino al Passo del Brennero. E poi dall’altra parte dell’arco alpino, a Limone Piemonte, in vista del Col di Tenda, dove memorie della via per Santiago di Compostela convivono con le fortificazioni del XIX secolo. O sul Moncenisio, per vedere un altro confine conteso, ma anche meraviglie della tecnologia ferroviaria e idroelettrica. Dopo tante montagne, il viaggio si conclude a Ventimiglia, quasi a ricordare che l’essenza del confine può essere liquida, mobile, proprio come il mare. Il luogo più curioso è certo il valico di S.Pietro a Gorizia, dove l’Italia finiva, molto opportunamente, con un manicomio (anch’esso abolito ora): molti confini passano anche attraverso le nostre teste.
Proprio manifestando la loro presente inutilità, questi valichi raccontano di un continente ormai interamente percorribile e permeabile, dove le diversità provano a fondersi, a confluire una nell'altra. Ma questa trasformazione epocale ha tuttavia il suo prezzo. E se alcuni luoghi di forte identità hanno appena avvertito il cambiamento (Argentera, La Thuile, Bardonecchia), nella maggior parte dei casi le piccole stazioni dove il confine rappresentava la principale risorsa hanno conosciuto la decadenza e l’abbandono: microeconomie risospinte verso la tradizionale povertà, bar malinconicamente rimasti senza avventori, doganieri, carabinieri e finanzieri a pigione ripartiti. In attesa di trovare una nuova vocazione – qualche edificio è già stato venduto, per altri si pensa a piccoli musei e luoghi della memoria – ben venga dunque la visita dei turisti a risvegliarli dal loro torpore.
Del resto non è questo il solo esempio di un turismo tanto particolare. Il Novecento non è stato avaro di confini, a cominciare dal celebre Muro di Berlino, costruito in tutta fretta nell’agosto 1961 per interrompere il continuo esodo dalla Germania Est verso l’Occidente. Per quasi mezzo secolo ha rappresentato il simbolo stesso della Cortina di ferro e della Guerra fredda, e centinaia di persone furono uccise nel tentativo di attraversarlo. Il 9 novembre 1989 (chi non ricorda quel giorno? Eppure 18 anni sono già trascorsi...) una pacifica rivoluzione aprì la via attraverso il Muro, decretando la fine della Germania Est. In poco tempo la barriera, lunga 155 chilometri, fu quasi completamente distrutta, incluso il celebre punto di controllo nel centro di Berlino, Checkpoint Charlie. Una scelta comprensibile, per tutto quello che il Muro rappresentava, ma forse troppo impulsiva, dal momento che migliaia di turisti ogni anno ne visitano i pochi resti, o camminano lungo il segno sul terreno che ricorda il tracciato. E nell’agosto 2002 una riproduzione di Checkpoint Charlie è stata costruita a beneficio dei turisti...
I “viaggiatori dei confini” possono spingersi anche molto indietro nel tempo. Pensiamo alla Grande Muraglia in Cina, o al più vicino Vallo di Adriano, le poderose fortificazioni costruite nell'Inghilterra settentrionale nei dieci anni seguenti il 122 d.C. per limitare le incursioni dei bellicosi vicini dell’Impero romano. Il Vallo costituisce oggi la principale attrazione turistica della regione (www.hadrians-wall.org), e dal 1987 appartiene al Patrimonio dell’Umanità Unesco. Nel maggio 2003 è stato aperto al pubblico uno splendido percorso a piedi attraverso le campagne e le piccole città della regione, 84 miglia percorribili in 6 giorni attraversando tutta l’inghilterra, da Est a Ovest (www.nationaltrail.co.uk/HadriansWall). Una sfida impegnativa, che nelle intenzioni doveva limitare il numero di visitatori e il conseguente impatto sul monumento, anche se poi ha avuto invece uno straordinario e inaspettato successo.
Tra tanto dissolversi di confini, resistono quasi soltanto, se pure attenuati, quelli tra la Svizzera e L’Unione europea, nel nostro caso con l’Italia. Per il momento la loro innocua presenza in fondo ci rassicura, risponde al nostro bisogno di certezze, per bilanciare una globalizzazione che ci affascina, ma anche ci impaurisce. E chissà che in futuro proprio i confini non diventino una delle attrattive turistiche del Canton Ticino! Dato che il numero dei transiti rende già ora velleitario ogni controllo, la loro funzione finirà per essere soprattutto quella di offrire un’esperienza diversa? Forse presto gli altri Europei ci porteranno i loro figli - la generazione senza frontiere dell’Erasmus, di Internet, dei cellulari e dei voli low-cost - per far loro rivivere stati d’animo così familiari alle precedenti generazioni: i documenti pronti e tuttavia controllati mille volte, lo sguardo inquisitivo del doganiere, il gusto e i timori del piccolo contrabbando... Quell’esperienza che l’antropologo Arnold Van Gennep ha censito tra i suoi “riti di passaggio”: separarsi, stare sul margine, unirsi provvisoriamente a un mondo nuovo. Brogeda, Bizzarrone e il Museo delle dogane di Cantine di Gandria sembrano avere un luminoso futuro davanti a sé.
Intorno a questa intuizione l’antropologa Stefania Seghetti e il fotografo Paolo Soriani hanno costruito un affascinante progetto documentario, che si è tradotto in un libro e in una mostra itinerante (www.assenzadeiconfini.com). I due hanno percorso i diversi luoghi di confine che separano l’Italia dai paesi di area Schengen, raccontando frontiere importanti, ma anche semplici valichi stagionali. Da Gorizia appunto, verso Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia, al confine con la Slovenia e la Carinzia; un confine tormentato, quanto quello italo-austriaco in Trentino Alto Adige (Prato alla Drava e San Candido), sino al Passo del Brennero. E poi dall’altra parte dell’arco alpino, a Limone Piemonte, in vista del Col di Tenda, dove memorie della via per Santiago di Compostela convivono con le fortificazioni del XIX secolo. O sul Moncenisio, per vedere un altro confine conteso, ma anche meraviglie della tecnologia ferroviaria e idroelettrica. Dopo tante montagne, il viaggio si conclude a Ventimiglia, quasi a ricordare che l’essenza del confine può essere liquida, mobile, proprio come il mare. Il luogo più curioso è certo il valico di S.Pietro a Gorizia, dove l’Italia finiva, molto opportunamente, con un manicomio (anch’esso abolito ora): molti confini passano anche attraverso le nostre teste.
Proprio manifestando la loro presente inutilità, questi valichi raccontano di un continente ormai interamente percorribile e permeabile, dove le diversità provano a fondersi, a confluire una nell'altra. Ma questa trasformazione epocale ha tuttavia il suo prezzo. E se alcuni luoghi di forte identità hanno appena avvertito il cambiamento (Argentera, La Thuile, Bardonecchia), nella maggior parte dei casi le piccole stazioni dove il confine rappresentava la principale risorsa hanno conosciuto la decadenza e l’abbandono: microeconomie risospinte verso la tradizionale povertà, bar malinconicamente rimasti senza avventori, doganieri, carabinieri e finanzieri a pigione ripartiti. In attesa di trovare una nuova vocazione – qualche edificio è già stato venduto, per altri si pensa a piccoli musei e luoghi della memoria – ben venga dunque la visita dei turisti a risvegliarli dal loro torpore.
Del resto non è questo il solo esempio di un turismo tanto particolare. Il Novecento non è stato avaro di confini, a cominciare dal celebre Muro di Berlino, costruito in tutta fretta nell’agosto 1961 per interrompere il continuo esodo dalla Germania Est verso l’Occidente. Per quasi mezzo secolo ha rappresentato il simbolo stesso della Cortina di ferro e della Guerra fredda, e centinaia di persone furono uccise nel tentativo di attraversarlo. Il 9 novembre 1989 (chi non ricorda quel giorno? Eppure 18 anni sono già trascorsi...) una pacifica rivoluzione aprì la via attraverso il Muro, decretando la fine della Germania Est. In poco tempo la barriera, lunga 155 chilometri, fu quasi completamente distrutta, incluso il celebre punto di controllo nel centro di Berlino, Checkpoint Charlie. Una scelta comprensibile, per tutto quello che il Muro rappresentava, ma forse troppo impulsiva, dal momento che migliaia di turisti ogni anno ne visitano i pochi resti, o camminano lungo il segno sul terreno che ricorda il tracciato. E nell’agosto 2002 una riproduzione di Checkpoint Charlie è stata costruita a beneficio dei turisti...
I “viaggiatori dei confini” possono spingersi anche molto indietro nel tempo. Pensiamo alla Grande Muraglia in Cina, o al più vicino Vallo di Adriano, le poderose fortificazioni costruite nell'Inghilterra settentrionale nei dieci anni seguenti il 122 d.C. per limitare le incursioni dei bellicosi vicini dell’Impero romano. Il Vallo costituisce oggi la principale attrazione turistica della regione (www.hadrians-wall.org), e dal 1987 appartiene al Patrimonio dell’Umanità Unesco. Nel maggio 2003 è stato aperto al pubblico uno splendido percorso a piedi attraverso le campagne e le piccole città della regione, 84 miglia percorribili in 6 giorni attraversando tutta l’inghilterra, da Est a Ovest (www.nationaltrail.co.uk/HadriansWall). Una sfida impegnativa, che nelle intenzioni doveva limitare il numero di visitatori e il conseguente impatto sul monumento, anche se poi ha avuto invece uno straordinario e inaspettato successo.
Tra tanto dissolversi di confini, resistono quasi soltanto, se pure attenuati, quelli tra la Svizzera e L’Unione europea, nel nostro caso con l’Italia. Per il momento la loro innocua presenza in fondo ci rassicura, risponde al nostro bisogno di certezze, per bilanciare una globalizzazione che ci affascina, ma anche ci impaurisce. E chissà che in futuro proprio i confini non diventino una delle attrattive turistiche del Canton Ticino! Dato che il numero dei transiti rende già ora velleitario ogni controllo, la loro funzione finirà per essere soprattutto quella di offrire un’esperienza diversa? Forse presto gli altri Europei ci porteranno i loro figli - la generazione senza frontiere dell’Erasmus, di Internet, dei cellulari e dei voli low-cost - per far loro rivivere stati d’animo così familiari alle precedenti generazioni: i documenti pronti e tuttavia controllati mille volte, lo sguardo inquisitivo del doganiere, il gusto e i timori del piccolo contrabbando... Quell’esperienza che l’antropologo Arnold Van Gennep ha censito tra i suoi “riti di passaggio”: separarsi, stare sul margine, unirsi provvisoriamente a un mondo nuovo. Brogeda, Bizzarrone e il Museo delle dogane di Cantine di Gandria sembrano avere un luminoso futuro davanti a sé.
Stefania Seghetti e Paolo Soriani, “L’assenza dei confini, l’essenza dei confini”, Edizioni Dueffe, Roma 2007, pp.146, € 40,00.
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