giovedì 20 dicembre 2007


Se digitate su di un motore di ricerca le parole “Canton Ticino” e “turismo responsabile” non aspettatevi molto. Cercando con pazienza si trova al massimo un’iniziativa in Valle Maggia (www.guideotm.ch) e una piccola, merite-vole associazione (www.tralegenti.ch) che promuove viaggi responsabili, sino ad ora in Marocco, Ecuador e Burkina Faso (quest’ultimo proposto per la seconda volta, e in programma per gennaio-febbraio 2008). Ma altro non c’è, o se c’è non si vede (che di questi tempi è più o meno lo stesso). Per rendersi conto del ritardo accumulato basta guardare ad altri Cantoni (ad esempio www.akte.ch), e soprattutto oltre confine. In Inghilterra Tourism Concern (www.tourismconcern.org.uk) è molto presente nel dibattito pubblico, e frequentemente consultata anche dal governo. In Italia l’Associazione italiana turismo responsabile (www.aitr.org), che raccoglie le numerose organizzazioni attive in questo campo, tra cui diversi Tour Operator specializzati (www.viaggisolidali.it; www.viaggiemiraggi.org), ha elaborato una dettagliata “Carta d'identità per viaggi sostenibili”, ha promosso una campagna pubblicitaria nazionale, e pensa a un marchio e forme di certificazione. Senza stracciarsi le vesti o magnificare le imprese altrui, è dunque opportuno prendere atto del fatto che nel nostro territorio non è conosciuto né sperimentato il principale modello di sviluppo turistico alternativo a quello tradizionale di cui, in un articolo recente, abbiamo sottolineato i non pochi limiti. Parliamo esattamente di questo, di un modello di sviluppo economico, e non solo di buone intenzioni moralmente apprezzabili (il che pure non guasta), dal momento che il turismo responsabile, dopo alcuni decenni di intensa elaborazione e sperimentazione, è in grado di offrire un insieme di pratiche concrete ed efficaci.
Ma cosa intendiamo dunque per “turismo responsabile”? È un turismo ispirato a principi di giustizia sociale ed economica, al rispetto dell’ambiente e delle culture; un turismo leggero, sostenibile, solidale, che migliora il territorio e incide positivamente sulla qualità della vita di chi vi abita. È attento alla qualità piuttosto che alla quantità, e al bisogno tralascia le ossessive statistiche delle presenze in favore della creazione di equilibri durevoli e condivisi. Proviamo, in estrema sintesi, a riassumerne i principi. I viaggiatori responsabili sono correttamente informati prima della partenza sui luoghi che vanno a visitare, senza promesse di paradisi artificiali, immagini da cartolina o stereotipi banali. Una volta arrivati a destinazione, si soggiorna di preferenza in alberghi di piccole dimensioni, gestiti da gente del posto, o anche presso le famiglie, e si consumano prodotti del territorio. Per la maggior parte del tempo si condivide la vita quotidiana dei locali, invece di assistere a improbabili spettacoli folcloristici per anime semplici. Nonostante questi vantaggi, il turismo responsabile non costa più di quello organizzato, anche se una parte molto maggiore dei guadagni resta alle comunità locali, anziché nelle mani delle grandi multinazionali del turismo. E propone senza dubbio viaggi molto più autentici e interessanti. Anche dal punto di vista dell’offerta il fondamento del turismo responsabile, il suo valore aggiunto, è proprio il coinvolgimento della comunità locale. Questa dovrebbe essere la norma, naturalmente, e solo gli abitanti del territorio dovrebbero scegliere tempi e modi dello sviluppo turistico, ma la realtà è spesso ben diversa, quando scendono in campo interessi forti e organizzati.
Sino a qualche anno fa il turismo responsabile era considerato quasi esclusivamente uno strumento della cooperazione internazionale e del sostegno allo sviluppo in Africa, Asia e America Latina, attraverso l’attività delle organizzazioni non governative. Oggi invece i teorici più avanzati guardano con un interesse nuovo a quelle aree rimaste al margine della crescita economica, come i borghi montani, ad esempio, in Italia, quelli distribuiti lungo tutto l’arco dell’Appennino. Qui si lavora per mantenere in vita i piccoli paesi e garantire così la tutela del territorio, trattenendo i giovani grazie alle prospettive d’impiego nel turismo, e limitando lo sviluppo delle seconde case, in favore della diffusione di Bed & Breakfast o dell’albergo diffuso. Si cerca soprattutto di valorizzare tradizioni, mestieri e prodotti della cultura locale, quando questa è ancora viva, e non “impagliata” nei musei. Il turismo può essere prezioso a questo fine, perché nel presentarsi ai turisti, venuti da lontano appositamente per questo, gli abitanti riscoprono essi stessi con orgoglio la propria identità (vedi ad esempio
www.ibrigantidicerreto.com).
Questo percorso, e questa riflessione, hanno molto da offrire anche al Ticino. Infatti, come sappiamo, caratteristica del Cantone è la coesistenza in breve spazio di due realtà profondamente diverse: da un lato le scintillanti e mondane città lacustri, dall’altro le valli tranquille e appartate. Due tipi di possibili esperienze e quindi di clientela: eleganti e cosmopoliti turisti internazionali nelle città, austeri camminatori, per lo più tedeschi o svizzero-tedeschi, nelle valli. La combinazione di offerte così diverse va a tutto vantaggio del Cantone, non c’è dubbio, ma crea anche problemi di cui è bene essere consapevoli. Turismi diversi richiedono infatti diversi modelli di gestione, e soprattutto le valli ticinesi trarrebbero beneficio dall’adozione di pratiche di turismo responsabile. Il primo passo potrebbe essere la realizzazione di materiale informativo che presenti in forma chiara e sintetica le linee guida per realizzare iniziative ispirate a questi ideali. Una volta superata l’inerzia e la resistenza al cambiamento di cui tutti soffriamo, potremmo scoprire che il turismo responsabile non è solo più etico, ma ha anche una sua concretezza economica sul medio e lungo periodo: del resto, come dice un proverbio, “la via buona non fu mai lunga”.


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