sabato 12 aprile 2008


L’etimologia di “zingaro” rimanda a una falsa origine (atziganoi, egiziani), ma è comunque un termine corretto, che può essere tranquillamente usato purché spogliato dall’abituale significato spregiativo. È senz’altro più preciso di Rom (“uomo”), che indica una parte del variegato mondo nomade, ma non vale ad esempio per un altro gruppo di zingari, i Sinti. È solo un esempio di quanto poco sappiamo di questo strano popolo. Cominciamo dalla storia. Le vere origini degli zingari risalgono all’India, da dove migrarono mille anni fa, e la loro lingua (romanès) deriva dal sanscrito. Intorno al XIV secolo è segnalato il loro arrivo in Europa, dove riuscirono a trovare spazio nelle larghe maglie della società medioevale, ma solo per poco. Con il formarsi degli Stati nazionali la loro presenza apparve sempre più difficilmente conciliabile, e cominciò una lunga storia di pregiudizi e discriminazioni. “Erano la più brutta gente che si vedesse mai” fu la reazione al loro arrivo a Bologna nel 1422, e nel 1492 furono espulsi dalla Spagna cattolica insieme a ebrei e mori. Lo stereotipo dello zingaro ladro, pigro e imbroglione era già formato, anche se il peggio sarebbe venuto nel XX secolo, quando furono sterminati nei campi nazisti – tra 250.000 e 500.000 le vittime - nonostante le origini indiane e quindi “ariane”; un genocidio a lungo dimenticato. Il fascismo ebbe pure la mano pesante, e pagine oscure furono scritte anche in Paesi democratici come la Svizzera, dove tra il 1926 e il 1973, per volontà della Pro Juventute, almeno 620 bambini furono sottratti agli zingari Jenisch per essere affidati a famiglie adottive o a istituzioni, tenendoli all’oscuro delle loro origini (www.ti.ch/zingari).
Oggi in Europa gli zingari sono poco meno di nove milioni, e la maggior parte di loro vive nell’Europa dell’Est, da dove negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso partirono gli ultimi flussi migratori consistenti. Due milioni vivono entro i confini dell’Unione europea, soprattutto in Grecia e Spagna, ma anche nell’Italia del Sud, ad esempio a Palermo, dove il 6 maggio celebrano la loro antichissima festa per l’arrivo dell’estate, che ha il suo centro sul monte Pellegrino, all’interno del santuario di Santa Rosalia. E verso la fine dello stesso mese da tutta Europa confluiscono a migliaia in Camargue, a Saintes Maries de la mer, per onorare la loro patrona Santa Sara la Khalì (la Nera). Due buoni spunti per un viaggio in primavera avanzata.
Mille anni dopo il loro arrivo, gli zingari restano una realtà scomoda, di difficile comprensione e quindi gestione. È chiaramente una minoranza, ma non rivendica nessun territorio, non fa riferimento a nessuno Stato, è poco desiderosa di integrarsi... Probabilmente bisognerebbe rompere gli schemi tradizionali, e individuare soluzioni originali, ma quali? E andrebbero bene per tutti, considerato che gli zingari sono anche molto diversi tra loro? Se poni la stessa domanda a venti zingari, otterrai venti risposte diverse. D'altro canto, se poni per venti volte la stessa domanda a un solo zingaro, otterrai ugualmente venti risposte diverse.

Questo libro si concentra su alcuni aspetti indubbiamente significativi: i tentativi d’integrazione attraverso la scuola ad esempio, o le ricorrenti accuse di comportamenti criminali (quasi sempre furti), cresciuti da quando le professioni tradizionali degli zingari sono meno richieste. Ma stranamente affronta solo tangenzialmente l’esperienza del viaggio. Per me invece pensare agli zingari vuol dire soprattutto ricordare i pittoreschi e variopinti carrozzoni tirati da cavalli con cui viaggiavano fino a una cinquantina di anni fa, prima di passare a più moderne roulotte e caravan. Proprio i continui spostamenti del resto generano i tratti caratteristici dell’identità zingara. Ad esempio la necessità di rendere le proprie ricchezze facilmente trasportabili si è tradotta in quell’abbondanza di gioielli e vesti pregiate che sconcerta l’osservatore, perché contrasta con la povertà di altri aspetti della vita quotidiana. Anche le professioni sono solo quelle compatibili con il viaggio, e quindi gli zingari sono stati di volta in volta abili lavoratori di metalli, venditori ambulanti, commercianti di cavalli, musicisti, giostrai. Come in tutte le società mobili, l’autorità dei capi è soprattutto carismatica, e il loro potere è sempre in discussione, anche perché ad ogni bivio parte del gruppo può decidere di prendere una diversa direzione. Soprattutto il viaggio crea una diversa concezione del tempo e dello spazio, che si evidenzia quando si chiede ad esempio ai bambini zingari di stare immobili in un’aula scolastica per lunghe ore.

La condizione nomade è quella che più ha attirato disprezzo sugli zingari: dopo tutto “errare” è sinonimo di “vagare”, ma anche di “sbagliare”. Ma nella sua difesa degli zingari, o almeno nel reclamare giustamente un giudizio più articolato, l’autore sorvola su un aspetto significativo, e cioè che all’avversione verso gli zingari si è sempre alternata e accompagnata da parte dei sedentari anche una sotterranea ammirazione per queste creature esotiche e misteriose. Bruce Chatwin, affascinato dai nomadi, pensava che tale condizione fosse stata abbandonata troppo di recente (circa 10.000 anni fa) per non aver lasciato tracce nella nostra anima, quello che chiamava l’istinto nomade. Come prova di questo, osservava che i bambini smettono di piangere quando vengono cullati, cioè quando si riproduce l’effetto di stare in braccio alla madre che cammina (e i bambini Rom passano i primi due anni di vita sempre in braccio alla madre, perché di rado le condizioni igieniche o di sicurezza consentono di lasciarli liberi per terra); e quando una preoccupazione ci abita, sentiamo l’impulso di camminare per chiarirci le idee.
Degli artisti non parliamo. I romantici dell’Ottocento furono i primi a celebrare gli zingari come antitesi alla piatta vita borghese, in opere celebri come la “Carmen” di Bizet. E – dalle stelle alle stalle - “Zingaro voglio vivere come te/andare dove mi pare non come me” cantava qualche anno fa Umberto Tozzi (“Zingaro”, 1978). Ora va per la maggiore anche il gipsy punk dei Gogol Bordello, fisarmoniche e violini per un album dal titolo significativo di “Super Taranta”. Il gruppo è stato adottato da Madonna, come sempre implacabile nel fiutare le nuove tendenze: "Ho sempre ammirato gli zingari, sognato di vivere così, di musica, di viaggi, in modo spontaneo”.
In realtà gli zingari sono sempre meno nomadi: solo il 30% circa conserva questo stile di vita. In compenso, verrebbe da dire, si mettono in moto tutti gli altri, come se, dopo una lunga parentesi, nel mondo occidentale globalizzato riaffiorassero tratti del nomadismo. Stiamo sempre meno in casa, e il telefono fisso è spesso al servizio della segreteria telefonica; in compenso, chiamando al cellulare, anziché “Pronto chi parla?” chiediamo “Dove sei?”. Ho conosciuto alcuni viaggiatori che non hanno più da tempo una stabile dimora, ma anche manager che passano da un albergo all’altro, e lavorano in filiali sempre diverse della loro compagnia. Non ci vorrà molto perché gli zingari, dai loro tranquilli accampamenti, contemplino sorpresi l’andirivieni perpetuo dei gagé, come ci chiamano...


Michele Mannoia, «Zingari, che strano popolo! Storia e problemi di una minoranza esclusa», XL Edizioni, pp.192, €.16,00