Qualche settimana fa abbiamo parlato di Timbuctu, la città del Mali che molti pensano non esista nella realtà. Shangri-La è il suo opposto: è una città immaginaria, ma molti credono che esista davvero; tra questi, l’interessato governo della Cina.
Shangri-La è il nome della comunità raccontata nel romanzo “Orizzonte perduto” (Sellerio), pubblicato da James Hilton nel 1933. La trama racconta di quattro visitatori occidentali che, in seguito a un incidente aereo, arrivano in una valle alle pendici dell’Himalaya: “Era uno spettacolo strano, e quasi incredibile. Un gruppo di edifici variamente colorati stava saldamente sul fianco del monte ... con la grazia di petali sparsi su una rupe rocciosa.” Qui un grande monastero accoglie una società sobria, armoniosa e pacifica. Gli abitanti di Shangri-La, provenienti da diversi Paesi, hanno bandito spontaneamente tutti i vizi che affliggono gli uomini. Il loro tempo è interamente dedicato a preservare e tramandare le più alte creazioni intellettuali e artistiche di ogni epoca e civiltà - dall’artigianato cinese a Mozart - nella convinzione che un’epoca di barbarie stia per abbattersi sul mondo: uno stato d’animo comprensibile se pensiamo che Hilton scriveva quando fascismo e stalinismo dominavano la scena politica, e che proprio nell’anno di pubblicazione del romanzo i nazisti presero il potere in Germania. Il loro sguardo peraltro si volgeva nella stessa direzione, a Oriente: nel 1938-’39 infatti, quando ormai era prossima la Seconda guerra mondiale, il capo delle SS Heinrich Himmler inviò una spedizione di SS sull’Himalaya per una stravagante missione scientifica: sul tetto del mondo gli scienziati tedeschi avrebbero dovuto trovare la testimonianza delle origini della “razza ariana” (Christopher Hale, “La crociata di Himmler. La spedizione nazista in Tibet nel 1938”, Garzanti).
Contro ogni aspettativa dell’autore, e nonostante il giudizio non entusiasta dei critici, il romanzo di Hilton ebbe un grande successo di pubblico. Fu il primo libro tascabile (pocket book) venduto negli Stati Uniti, nel 1937 Frank Capra ne ricavò un film premiato con due Oscar, e il presidente Franklin Delano Roosevelt volle chiamare Shangri-La la sua residenza di campagna (oggi più nota come Camp David). Negli anni seguenti numerosi sognatori, avventurieri ed esploratori cercarono Shangri-La in diverse regioni dell’Asia, e alcune località in varie parti del mondo si sono attribuite quel nome. Ma dov’è la vera Shangri-La?
Alla ricerca di Shangri-La
Diverse suggestioni si combinarono nella mente di Hilton per creare Shangri-La, ma nessuna indicazione nel volume è abbastanza precisa per identificare un luogo particolare. Probabilmente Hilton s’ispirò a un altro curioso personaggio – l’ennesimo in questa vicenda! - il botanico Joseph Rock. Nel 1921 Rock si era recato nella Cina Sud-occidentale per conto del Ministero dell’agricoltura americano, con il compito assai concreto di trovare una specie di castagno resistente ai parassiti. Colto dalla passione per l’etnografia e l’Oriente era invece rimasto nello Yunnan, e si era dedicato interamente allo studio delle popolazioni locali, pubblicando i suoi resoconti di viaggio su “National Geographic”. E proprio sulle orme di Joseph Rock si è posto a sua volta Lawrence Osborne, il giornalista americano che un paio di anni fa si è segnalato all’attenzione del pubblico per le sue disincantate riflessioni sul turismo contemporaneo (“Il turista nudo”, Adelphi), e che ora propone questo breve e curioso libro di viaggio. Strada facendo, Osborne riesce a trovare diverse tracce del soggiorno di Rock. Nel villaggio di Yuhu, pochi chilometri a nord di Lijiang, la sua casa è stata trasformata in un piccolo museo, e al centro del lago di Lugu, sull’Isola del serpente, si conserva un’altra sua dimora.
Il viaggio di Osborne si conclude idealmente a Zhongdian, al confine col Tibet, nella città che nel 2001 il governo cinese, con disprezzo del ridicolo, ha ribattezzato appunto Shangri-La. In realtà è persino incerto se Rock vi mise mai piede. Ma soprattutto qui nulla ricorda la pacifica utopia intravista o sognata da Hilton. Cartelloni freschi di stampa mostrano cime innevate con la scritta “Shangri-La!”, ma l’abitato è squallido e caotico. Il monastero tibetano di Songzanlin, saccheggiato e chiuso durante la Rivoluzione culturale, è stato restaurato e riaperto per i turisti. Infiniti cantieri costruiscono alberghi che paiono prigioni: del resto Zhongdian/Shangri-La richiama già tre milioni di visitatori l’anno, ma sono solo le avanguardie di legioni ben più numerose. Il governo cinese infatti da qualche tempo punta molto sul turismo: il turismo internazionale naturalmente, ma anche il turismo domestico di milioni di cinesi che escono progressivamente dalle ristrettezze, e vogliono viaggiare, divertirsi, conoscere, ma senza troppe raffinatezze né sottili distinzioni. Il turismo è una risorsa preziosa specialmente per queste regioni occidentali della Cina, sin qui meno coinvolte nello sviluppo industriale, e quindi più arretrate economicamente, ma al tempo stesso, proprio per questa ragione, più ricche di attrazioni, a cominciare da quelle minoranze etniche (Naxi, Mosuo) che Joseph Rock aveva tanto amato. A lungo perseguitate, oggi queste genti sono blandite dal governo cinese, purché acconsentano a mostrarsi nei loro costumi tradizionali, come indiani nelle riserve.
Triste epilogo mercantile per un sogno di pace e di speranza. Del resto, ricondotta al suo significato più profondo, la vicenda della vecchia come della nuova Shangri-La mostra una dinamica ricorrente nella storia dei rapporti tra Occidente e Oriente: l’Occidente ammira negli orientali la sapienza e il distacco dai beni materiali, mentre questi ci invidiano la prosperità materiale. E finché ciascuno insegue l’altro, non si incontreranno mai, e Shangri-La, inteso come il luogo d’incontro di civiltà diverse, rimarrà appunto un’utopia.
Lawrence Osborne, “Shangri-La”, Adelphi, Milano 2008, pp.56, € 5,50.
Shangri-La è il nome della comunità raccontata nel romanzo “Orizzonte perduto” (Sellerio), pubblicato da James Hilton nel 1933. La trama racconta di quattro visitatori occidentali che, in seguito a un incidente aereo, arrivano in una valle alle pendici dell’Himalaya: “Era uno spettacolo strano, e quasi incredibile. Un gruppo di edifici variamente colorati stava saldamente sul fianco del monte ... con la grazia di petali sparsi su una rupe rocciosa.” Qui un grande monastero accoglie una società sobria, armoniosa e pacifica. Gli abitanti di Shangri-La, provenienti da diversi Paesi, hanno bandito spontaneamente tutti i vizi che affliggono gli uomini. Il loro tempo è interamente dedicato a preservare e tramandare le più alte creazioni intellettuali e artistiche di ogni epoca e civiltà - dall’artigianato cinese a Mozart - nella convinzione che un’epoca di barbarie stia per abbattersi sul mondo: uno stato d’animo comprensibile se pensiamo che Hilton scriveva quando fascismo e stalinismo dominavano la scena politica, e che proprio nell’anno di pubblicazione del romanzo i nazisti presero il potere in Germania. Il loro sguardo peraltro si volgeva nella stessa direzione, a Oriente: nel 1938-’39 infatti, quando ormai era prossima la Seconda guerra mondiale, il capo delle SS Heinrich Himmler inviò una spedizione di SS sull’Himalaya per una stravagante missione scientifica: sul tetto del mondo gli scienziati tedeschi avrebbero dovuto trovare la testimonianza delle origini della “razza ariana” (Christopher Hale, “La crociata di Himmler. La spedizione nazista in Tibet nel 1938”, Garzanti).
Contro ogni aspettativa dell’autore, e nonostante il giudizio non entusiasta dei critici, il romanzo di Hilton ebbe un grande successo di pubblico. Fu il primo libro tascabile (pocket book) venduto negli Stati Uniti, nel 1937 Frank Capra ne ricavò un film premiato con due Oscar, e il presidente Franklin Delano Roosevelt volle chiamare Shangri-La la sua residenza di campagna (oggi più nota come Camp David). Negli anni seguenti numerosi sognatori, avventurieri ed esploratori cercarono Shangri-La in diverse regioni dell’Asia, e alcune località in varie parti del mondo si sono attribuite quel nome. Ma dov’è la vera Shangri-La?
Alla ricerca di Shangri-La
Diverse suggestioni si combinarono nella mente di Hilton per creare Shangri-La, ma nessuna indicazione nel volume è abbastanza precisa per identificare un luogo particolare. Probabilmente Hilton s’ispirò a un altro curioso personaggio – l’ennesimo in questa vicenda! - il botanico Joseph Rock. Nel 1921 Rock si era recato nella Cina Sud-occidentale per conto del Ministero dell’agricoltura americano, con il compito assai concreto di trovare una specie di castagno resistente ai parassiti. Colto dalla passione per l’etnografia e l’Oriente era invece rimasto nello Yunnan, e si era dedicato interamente allo studio delle popolazioni locali, pubblicando i suoi resoconti di viaggio su “National Geographic”. E proprio sulle orme di Joseph Rock si è posto a sua volta Lawrence Osborne, il giornalista americano che un paio di anni fa si è segnalato all’attenzione del pubblico per le sue disincantate riflessioni sul turismo contemporaneo (“Il turista nudo”, Adelphi), e che ora propone questo breve e curioso libro di viaggio. Strada facendo, Osborne riesce a trovare diverse tracce del soggiorno di Rock. Nel villaggio di Yuhu, pochi chilometri a nord di Lijiang, la sua casa è stata trasformata in un piccolo museo, e al centro del lago di Lugu, sull’Isola del serpente, si conserva un’altra sua dimora.
Il viaggio di Osborne si conclude idealmente a Zhongdian, al confine col Tibet, nella città che nel 2001 il governo cinese, con disprezzo del ridicolo, ha ribattezzato appunto Shangri-La. In realtà è persino incerto se Rock vi mise mai piede. Ma soprattutto qui nulla ricorda la pacifica utopia intravista o sognata da Hilton. Cartelloni freschi di stampa mostrano cime innevate con la scritta “Shangri-La!”, ma l’abitato è squallido e caotico. Il monastero tibetano di Songzanlin, saccheggiato e chiuso durante la Rivoluzione culturale, è stato restaurato e riaperto per i turisti. Infiniti cantieri costruiscono alberghi che paiono prigioni: del resto Zhongdian/Shangri-La richiama già tre milioni di visitatori l’anno, ma sono solo le avanguardie di legioni ben più numerose. Il governo cinese infatti da qualche tempo punta molto sul turismo: il turismo internazionale naturalmente, ma anche il turismo domestico di milioni di cinesi che escono progressivamente dalle ristrettezze, e vogliono viaggiare, divertirsi, conoscere, ma senza troppe raffinatezze né sottili distinzioni. Il turismo è una risorsa preziosa specialmente per queste regioni occidentali della Cina, sin qui meno coinvolte nello sviluppo industriale, e quindi più arretrate economicamente, ma al tempo stesso, proprio per questa ragione, più ricche di attrazioni, a cominciare da quelle minoranze etniche (Naxi, Mosuo) che Joseph Rock aveva tanto amato. A lungo perseguitate, oggi queste genti sono blandite dal governo cinese, purché acconsentano a mostrarsi nei loro costumi tradizionali, come indiani nelle riserve.
Triste epilogo mercantile per un sogno di pace e di speranza. Del resto, ricondotta al suo significato più profondo, la vicenda della vecchia come della nuova Shangri-La mostra una dinamica ricorrente nella storia dei rapporti tra Occidente e Oriente: l’Occidente ammira negli orientali la sapienza e il distacco dai beni materiali, mentre questi ci invidiano la prosperità materiale. E finché ciascuno insegue l’altro, non si incontreranno mai, e Shangri-La, inteso come il luogo d’incontro di civiltà diverse, rimarrà appunto un’utopia.
Lawrence Osborne, “Shangri-La”, Adelphi, Milano 2008, pp.56, € 5,50.
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