Timbuctu è una città che quasi tutti conoscono, ma che pochi saprebbero collocare su una carta geografica (per inciso è in Mali). Qualcuno pensa addirittura che non esista. Più che una meta reale, Timbuctu è un altrove mitico e irraggiungibile: è lì che il perfido maggiordomo Edgar de “Gli Aristogatti” cerca di spedire i tre gattini Minou, Matisse e Bizet, rinchiusi in una cassa, finendoci invece lui. Un’immagine che si è formata nel XIX secolo, quando le società geografiche promettevano premi favolosi a chi avesse raggiunto per primo la “perla del deserto” (e fu René Caillié, nel 1828, a riuscirvi). In realtà Timbuctu era stata per secoli una ricca città commerciale, favorita dalla posizione strategica lungo il fiume Niger, sul confine tra deserto e savana: e dunque tutt’altro che alla fine del mondo, ma piuttosto al centro di un altro mondo. Questo affascinante gioco di specchi è raccontato nell’ultimo, riuscito libro dell’antropologo Marco Aime, frutto di un interesse di lunga data e di pazienti ricerche sul campo (“Timbuctu”, Bollati Boringhieri, pp.200, € 10,00).
Shangri-La è l’esatto opposto di Timbuctu: è una città immaginaria, ma molti credono (e vogliono) che esista davvero. Shangri-La è infatti il nome di una pacifica e raffinata comunità che vive in una valle alle pendici dell’Himalaya, dedita a preservare e tramandare le più alte creazioni intellettuali e artistiche di ogni epoca e civiltà. È stata raccontata in un romanzo di successo, “Orizzonte perduto”, pubblicato da James Hilton nel 1933. Diverse suggestioni si combinarono nella mente di Hilton per creare Shangri-La, ma nessuna indicazione nel romanzo è abbastanza precisa per identificare un luogo particolare. Il giornalista americano Lawrence Osborne ha ripercorso i luoghi che potrebbero aver ispirato Hilton (“Shangri-La”, Adelphi, pp.56, € 5,50), ma ha scoperto invece che l’interessato governo della Cina è deciso a sfruttare spregiudicatamente questa opportunità. E così nel 2001 la città di Zhongdian, al confine col Tibet, è stata ribattezzata appunto Shangri-La, senza che nessun elemento giustifichi la scelta. Ma soprattutto qui nulla ricorda la pacifica utopia intravista o sognata da Hilton. L’abitato è squallido e caotico, e infiniti cantieri costruiscono alberghi che paiono prigioni. Zhongdian/Shangri-La richiama già tre milioni di visitatori l’anno, ma sono solo le avanguardie dei molti cinesi che escono progressivamente dalle ristrettezze, e vogliono viaggiare e divertirsi alla buona, senza troppe raffinate distinzioni.
A volte, durante un viaggio, svaniscono improvvisamente tutte le coordinate geografiche, temporali e psicologiche, e ci troviamo in un luogo che non avremmo mai pensato di visitare: Nowhere. A questo tema Lonely Planet ha dedicato un’antologia, curata da Don George (“Dove sono finito? Storie inaspettate da luoghi inaspettati”, EDT, pp.242, € 14,50). Nowhere può essere ovunque, perché è al tempo stesso un luogo, una situazione e uno stato d’animo di disorientamento. Per esempio Conor Grennan viaggia in bicicletta in Sri Lanka, senza sapere che è nel pieno della stagione delle piogge. Ovviamente si perde, e nel mezzo di un diluvio irrompe a tutta velocità dentro un negozio sperduto nella foresta, dove l’unico cibo disponibile per il viaggiatore affamato sono ... delle torte di compleanno al cioccolato, buonissime. In tutti i casi, superato lo smarrimento iniziale, si stabiliscono pian piano i nuovi punti di riferimento, e si finisce spesso per scoprire che il posto dove siamo capitati, contro ogni probabilità, ha qualcosa da dirci. In fondo quello che per noi è Nowhere, per altri è un luogo familiare. Nowhere insomma non è alla fine di una strada chiusa, semmai è un incrocio tra strade diverse: rivela connessioni, soluzioni, nuove prospettive, altre vite.
Per concludere le vostre lezioni di spaesamento potete affidarvi a Franco Arminio (“Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia”, Laterza, pp.193, € 10,00). Arminio si è autoproclamato primo “paesologo” italiano, e da anni spende le giornate visitando piccoli paesi, soprattutto della sua Campania. Va a vedere la piazza, il municipio, la scuola, il cimitero, le macchine che passano. Parla con il sindaco, il vigile, il geometra comunale, la barista, i vecchi, i nullafacenti, i matti. Qualche volta compera una cartolina. Poi torna a casa e scrive. Questo libro è un viaggio in paesi che si sono arresi: paesi spopolati, sfiniti e ammalati di desolazione, di cui la Campania (ma non solo) è generosa. Paesi senza turismo, senza negozi di prodotti tipici, o musei della civiltà contadina: paesi e basta. Arminio ha una voce originale, scrive benissimo, e il suo potrebbe anche essere il libro di viaggio più interessante di quest’anno. Ma è solo luglio, tutto può ancora accadere.
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