TURISMO SCARPONE
Con gli alpini sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale
Con gli alpini sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale
I luoghi dove si svolsero le grandi battaglie che hanno cambiato il corso della storia – Canne, Hastings, Waterloo, Verdun, El Alamein... - hanno sempre esercitato una forte attrazione, e hanno prodotto un turismo particolare (“Battlefield Tourism”). L’anniversario della fine della Grande guerra può dunque essere l’occasione per un viaggio nel più importante evento del XX secolo.
La Prima guerra mondiale si concluse quando gli Italiani, dopo quattro anni di lotte durissime, riuscirono ad aprirsi la via di Vienna. Ottant’anni dopo (1918-2008) l’anniversario di quell’impresa non sembra aver destato molto interesse. Forse perché gli Italiani a Vienna c’erano già, questa volta, impegnati nel Campionato europeo di calcio, e il problema, semmai, era di non tornare a casa troppo presto (come puntualmente è avvenuto). Dell’anniversario si sono ricordati invece benissimo gli alpini, che nella Grande guerra ebbero un ruolo principale, dal momento che si combatté in regioni di montagna, e dunque di leva alpina. Per l’occasione l’Associazione Nazionale Alpini - ANA (380.000 soci, 81 sezioni in Italia e 31 all’estero) ha presentato i risultati di un lungo e impegnativo lavoro di recupero e valorizzazione dei campi di battaglia, le cui condizioni erano ormai divenute critiche. Infatti, subito dopo la fine delle ostilità, questi furono abbandonati a sé stessi, salvo occasionali celebrazioni. La povera gente del luogo asportò tutto quello che poteva essere riutilizzato (furono detti appunto “recuperanti”), e a poco a poco le opere militari si deteriorarono per l’azione corrosiva del tempo e delle stagioni. Da alcuni decenni tuttavia le diverse sezioni dell’ANA si sono messe all’opera per arrestare il degrado, e ciascuna sezione si è occupata della sua valle e della sua montagna, con inevitabile varietà di criteri, ma con un ottimo risultato complessivo. Migliaia di volontari hanno ripulito, sistemato e reso praticabili al pubblico trincee, camminamenti, cittadelle militari, casematte, ricoveri, gallerie, cimiteri di guerra, in qualche caso vivendo nelle tende in quota, come al tempo del servizio militare. Anche i nemici di un tempo, i Kaiserjäger austriaci, hanno collaborato. Una legge dello Stato, e vari finanziamenti, anche della Comunità europea, hanno poi permesso di completare il percorso avviato spontaneamente. Quando il lavoro volgeva ormai al termine ci si è resi conto, quasi con sorpresa, che tutti questi interventi si componevano in un disegno unitario, in un unico, immenso museo a cielo aperto che va dall’Ossola alla Carnia, e lega insieme le montagne di Lombardia, Trentino, Veneto e Friuli. Nel frattempo l’escursionismo storico è molto cresciuto e, per rispondere a questa domanda, il volume che avrebbe dovuto censire i diversi interventi è stato integrato con informazioni di carattere turistico: itinerari, musei, manifestazioni ecc. Tanto valeva forse, a questo punto, realizzare due diversi progetti editoriali, ma anche così questo libro offre molti spunti interessanti per il turista.
Una prima curiosità: i Ticinesi hanno alle porte di casa la parte meglio conservata del fronte, ovvero le gigantesche fortificazioni della Linea Cadorna, costruite lungo il confine italo-svizzero nel timore che il nemico violasse la neutralità elvetica, come già aveva fatto con quella del Belgio. La linea si è conservata quasi intatta, con i suoi 70 km di trincee e i 500 km di strade militari o mulattiere, come sospesa nel tempo, in attesa di un nemico che non arrivò mai. E il forte di Montecchio Nord, nei pressi di Colico (Lecco), è l’unico ancora armato con i cannoni d’epoca.
Spostandosi verso Est, ogni luogo ricanta l’epica vicenda in forme sempre diverse. Sull’Adamello i nemici più pericolosi erano la montagna e l’inverno, e ogni azione militare si trasformava in un’impresa alpinistica. Sul Passo dello Stelvio è invece possibile visitare il cimitero militare più alto d’Europa. Molti dei luoghi più suggestivi sono naturalmente in Trentino, dove il fronte s’incuneava profondamente in territorio italiano, e dove l’Austria-Ungheria nel 1916 sferrò una pericolosa offensiva, la cosiddetta “Spedizione punitiva” (Strafexpedition), fallita d’un soffio. A Trento è d’obbligo una visita al Museo nazionale storico degli alpini, sulla Rocca del Doss. Ma il luogo della memoria più sentito dagli alpini è la “Colonna mozza” sull’Ortigara. Su questa montagna, che gli Austriaci avevano fortificato sino a renderla quasi imprendibile, l’ostinazione del generale Luca Montuori sacrificò in vani assalti 16.000 soldati di 22 battaglioni. Il 19 giugno 1917 gli alpini riuscirono ugualmente a conquistare la cima dell’Ortigara, coprendo le pendici coi loro morti, ma solo per esserne ricacciati da forze austriache superiori. In Trentino la guerra ha sfiorato anche i luoghi più belli, come le Dolomiti, che furono testimoni di spettacolari combattimenti sulle vette, guerre di mine e contromine gigantesche (per esempio sul Col di Lana), e soluzioni organizzative geniali come la città nel ghiaccio austriaca sulla Marmolada. Il percorso più interessante è sulla Cengia Martini, vicino a Cortina d’Ampezzo, dove la prima domenica di settembre si organizza un’accurata rievocazione storica con figuranti in uniformi d’epoca.
Assai meno visibili sono invece le tracce della guerra sull’altopiano del Carso: il terreno friabile ha inghiottito tutto, e ha fatto sprofondare ogni segno delle passate tragedie. Qui, ai piedi delle Alpi Giulie, nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo, 300.000 soldati persero la vita per contendersi qualche chilometro di terreno privo di valore strategico. Come scrisse un soldato austriaco nel suo diario: “Nei giorni successivi alla battaglia gli oggetti che appartennero ai morti vengono raccolti presso la Brigata. Mucchi di portafogli marroni, rossi, neri, sdruciti, macchiati di sangue, libretti paga, piastrine di riconoscimento. Molte lettere, italiane, austriache... Cara mamma, cara moglie, cari figli... fotografie di bambini, bambini italiani e austriaci, macchiate, sporche, insanguinate”. Poco oltre, sulle pendici del San Michele, altri centomila morti. Giunti al confine orientale, il viaggio sarebbe concluso, ma l’ultima tappa è ovviamente a ritroso, sul Piave e sul Monte Grappa, dove gli Italiani ripiegarono dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto (ottobre 1917) per allestire una disperata difesa, che preparò la successiva controffensiva e la vittoria finale.
Solo visitando di persona i luoghi si può comprendere pienamente il significato e la portata di questi eventi. Meglio ancora se sarete guidati sui sentieri della guerra dagli stessi alpini: a questo fine, prima della partenza, contattate le sezioni locali (anche attraverso www.ana.it). L’abolizione dell’esercito di leva ha molto ridotto la consistenza delle truppe alpine, ormai prive anche dell’inseparabile mulo (in “pensione” dal 1993), ma lo spirito resta quello di un tempo: un forte senso di solidarietà (gli alpini sono regolarmente impegnati nella Protezione civile), semplicità, concretezza, poche parole e molti fatti, come in questo caso. Davvero Italiani anomali, ma avercene.
“Con gli Alpini sui sentieri della storia. I luoghi della Grande Guerra”, Mursia, Milano 2008, pp.328, € 20,00
Una prima curiosità: i Ticinesi hanno alle porte di casa la parte meglio conservata del fronte, ovvero le gigantesche fortificazioni della Linea Cadorna, costruite lungo il confine italo-svizzero nel timore che il nemico violasse la neutralità elvetica, come già aveva fatto con quella del Belgio. La linea si è conservata quasi intatta, con i suoi 70 km di trincee e i 500 km di strade militari o mulattiere, come sospesa nel tempo, in attesa di un nemico che non arrivò mai. E il forte di Montecchio Nord, nei pressi di Colico (Lecco), è l’unico ancora armato con i cannoni d’epoca.
Spostandosi verso Est, ogni luogo ricanta l’epica vicenda in forme sempre diverse. Sull’Adamello i nemici più pericolosi erano la montagna e l’inverno, e ogni azione militare si trasformava in un’impresa alpinistica. Sul Passo dello Stelvio è invece possibile visitare il cimitero militare più alto d’Europa. Molti dei luoghi più suggestivi sono naturalmente in Trentino, dove il fronte s’incuneava profondamente in territorio italiano, e dove l’Austria-Ungheria nel 1916 sferrò una pericolosa offensiva, la cosiddetta “Spedizione punitiva” (Strafexpedition), fallita d’un soffio. A Trento è d’obbligo una visita al Museo nazionale storico degli alpini, sulla Rocca del Doss. Ma il luogo della memoria più sentito dagli alpini è la “Colonna mozza” sull’Ortigara. Su questa montagna, che gli Austriaci avevano fortificato sino a renderla quasi imprendibile, l’ostinazione del generale Luca Montuori sacrificò in vani assalti 16.000 soldati di 22 battaglioni. Il 19 giugno 1917 gli alpini riuscirono ugualmente a conquistare la cima dell’Ortigara, coprendo le pendici coi loro morti, ma solo per esserne ricacciati da forze austriache superiori. In Trentino la guerra ha sfiorato anche i luoghi più belli, come le Dolomiti, che furono testimoni di spettacolari combattimenti sulle vette, guerre di mine e contromine gigantesche (per esempio sul Col di Lana), e soluzioni organizzative geniali come la città nel ghiaccio austriaca sulla Marmolada. Il percorso più interessante è sulla Cengia Martini, vicino a Cortina d’Ampezzo, dove la prima domenica di settembre si organizza un’accurata rievocazione storica con figuranti in uniformi d’epoca.
Assai meno visibili sono invece le tracce della guerra sull’altopiano del Carso: il terreno friabile ha inghiottito tutto, e ha fatto sprofondare ogni segno delle passate tragedie. Qui, ai piedi delle Alpi Giulie, nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo, 300.000 soldati persero la vita per contendersi qualche chilometro di terreno privo di valore strategico. Come scrisse un soldato austriaco nel suo diario: “Nei giorni successivi alla battaglia gli oggetti che appartennero ai morti vengono raccolti presso la Brigata. Mucchi di portafogli marroni, rossi, neri, sdruciti, macchiati di sangue, libretti paga, piastrine di riconoscimento. Molte lettere, italiane, austriache... Cara mamma, cara moglie, cari figli... fotografie di bambini, bambini italiani e austriaci, macchiate, sporche, insanguinate”. Poco oltre, sulle pendici del San Michele, altri centomila morti. Giunti al confine orientale, il viaggio sarebbe concluso, ma l’ultima tappa è ovviamente a ritroso, sul Piave e sul Monte Grappa, dove gli Italiani ripiegarono dopo la disastrosa sconfitta di Caporetto (ottobre 1917) per allestire una disperata difesa, che preparò la successiva controffensiva e la vittoria finale.
Solo visitando di persona i luoghi si può comprendere pienamente il significato e la portata di questi eventi. Meglio ancora se sarete guidati sui sentieri della guerra dagli stessi alpini: a questo fine, prima della partenza, contattate le sezioni locali (anche attraverso www.ana.it). L’abolizione dell’esercito di leva ha molto ridotto la consistenza delle truppe alpine, ormai prive anche dell’inseparabile mulo (in “pensione” dal 1993), ma lo spirito resta quello di un tempo: un forte senso di solidarietà (gli alpini sono regolarmente impegnati nella Protezione civile), semplicità, concretezza, poche parole e molti fatti, come in questo caso. Davvero Italiani anomali, ma avercene.
“Con gli Alpini sui sentieri della storia. I luoghi della Grande Guerra”, Mursia, Milano 2008, pp.328, € 20,00
Etichette: Recensione "Azione"
<< Home