La paesologia è la scienza che studia i paesi. Ma è una scienza strana; a tutt’oggi vi si dedica un solo scienziato. Nonostante questo, è una disciplina che ha molto avvenire: forse perché i paesi ne hanno davvero poco.
Il poeta e scrittore Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Campania, nell’Irpinia orientale. Da qualche anno si è autoproclamato primo (e per ora unico) “paesologo” italiano. Arminio spende le giornate visitando piccoli paesi: “Quasi ogni mattina vado a trovare qualche paese come si va a trovare un vecchio zio, vado a vedere che faccia ha, a che punto è la sua malattia o la sua salute. (...) C’è chi sta fermo e chi va lontano. Io seguo un’altra strada, viaggio nei dintorni”. Parcheggiata la macchina, il suo itinerario si snoda tra la piazza, il bar, il municipio, la scuola, il cimitero, insomma tutti i posti dove si entra gratis. Parla con il sindaco, il vigile, il geometra comunale, la barista, i vecchi pensionati, i nullafacenti, i matti. Guarda le macchine che passano, mangia un panino comprato nel negozio di alimentari (“Con due euro panino e grande bottiglia d’acqua minerale, due euro da consumare al sole, costa poco stare in piedi, con due euro qui puoi stare in piedi un’intera giornata”). Qualche volta compera una cartolina. Poi torna a casa.
La paesologia è scienza di retroguardie, o forse di eserciti in rotta. La Romagna dei turisti tedeschi o la Toscana e l’Umbria, predilette dai ricchi Inglesi e Americani, sono lontane lontane, quasi appartenessero a un altro pianeta. I paesi di cui scrive Arminio sono paesi senza montagne per sciare, senza mare, senza discoteche. Paesi e basta. Non hanno l’ufficio di informazioni turistiche, il museo della civiltà contadina, nemmeno il negozio di prodotti tipici. Com’è facile immaginare, non li visita nessuno, salvo gli emigranti che vi tornano d’agosto, a ostentare fortune accumulate altrove. Il lavoro dei campi non interessa più, o quasi, ed è sinonimo di un passato di povertà. Rare le fabbriche. L’economia locale vive di pensioni d’anzianità. Sono paesi spopolati, stanchi di stare al mondo, sfiniti. In breve, paesi che si sono arresi: bandiera bianca. Questo genere di paesi abbonda nel Sud Italia e in Campania, ma non solo: almeno un quarto dei paesi italiani – cinquemila nuclei, sette milioni di persone, in larga parte sull’Appennino - ha contratto la stessa malattia. Erano un tempo paesi poveri, e a volte miseri. La vita che vi si conduceva era penosa per i più, ma almeno aveva un senso. Oggi gli abitanti hanno tutto il necessario, e anche oltre, ma hanno perduto la loro ragione di stare al mondo: “Il vecchio alfabeto del paese ha perso ogni lettera. Dalla a di asino alla z di zappa, passando per la m di mulo, per la p di pecora, per la c di contadino. Il nuovo alfabeto sembra cominciare dalla lettera d, dalla desolazione.” Il centro storico si svuota, e i paesi si allungano fino a slogarsi: le case si distribuiscono lungo le strade d’accesso, separate le une dalle altre. Piccoli regni autosufficienti, la cui affermazione cancella i riti della vita di “comunità” (un termine oggi sempre usato, ma quando la comunità c’era, il termine non esisteva). La macchina è sempre pronta: mezzora di curve bastano per raggiungere la città vicina, o un centro commerciale. E anche il “paesologo” del resto, per esercitare la sua scienza, deve muoversi in macchina...
Il libro di Arminio è senza dubbio uno dei più interessanti libri di viaggio scritti quest’anno. I contenuti sono originali. Lo stile è asciutto ed elegante. Periodi brevi, parole scelte e allineate con cura: “Mi sposto verso Sant’Andrea. Altro paese, altro silenzio. Nessuno in giro. Prima si vedeva gente in giro anche quando il tempo era brutto. Adesso le case sono calde e comode. E dentro c’è il televisore per i vecchi e per i bambini. C’è il computer per i giovani. Dentro il bar c’è sempre qualcuno che non sta bene.” A leggerlo – anche al sole della Sicilia, com’è capitato a me – mette una malinconia infinita. Vien voglia di lasciar stare, e passare ad altro, e tuttavia il problema è reale, anche se non fa notizia, e quindi interessa poco ai media. Dopo una storia di secoli, e a volte millenni, i paesi sono giunti alla fine della loro esistenza? Hanno esaurito la loro funzione in un mondo sempre più urbano? Sembra sia così, ma ad ammetterlo piange il cuore. Oppure è possibile ripartire da qui, e immaginare che in un futuro, per quanto poco probabile, le giovani coppie torneranno a ristrutturare e popolare le case addossate le une alle altre, e le piazze rivedranno nuovamente giochi di bambini? Nei paesi si sperimenterà uno stile di vita diverso, un nuovo rapporto coi ritmi dell’esistenza e colla natura? Sono domande che, sia pure in un contesto molto diverso, mi sembra valgano anche per il Ticino. Di certo sono domande che valgono un viaggio, e forse qualcuno vorrà sperimentare questo turismo di nuovissimo tipo. E chissà che i paesologi non diventino due, o tre.
Franco Arminio, “Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia”, Laterza, pp.193, € 10,00.
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