mercoledì 4 luglio 2007

Il cinema è di casa nelle grandi capitali sin da quando a Parigi, nel dicembre 1895, i fratelli Lumière proiettarono i loro primi film al Grand Café sul Boulevard des Capucines. E da allora molti registi hanno scelto per le loro storie uno sfondo urbano, traendone significato, sentimenti, emozioni. Per questo risulta coinvolgente il viaggio proposto da Claudia Hellmann e Claudine Weber-Hof (“Location. Le città del mondo nei film”, introduzione di Wim Wenders, Touring Club Italiano, Milano 2006, pp.192, € 25,00), in un libro pieno di curiosità (ma con qualche errore di stampa di troppo!).
I film non rispecchiano solo le città, ma ne influenzano assai concretamente la fortuna, e anche per questo apposite agenzie (Film Commission) cercano di offrire le condizioni migliori per attirare le produzioni. “Il favoloso mondo di Amélie” (2001), ad esempio, rilanciò le quotazioni immobiliari di Montmartre, così come “Notting Hill” (1999) nel caso dell’omonimo quartiere londinese: lo sceneggiatore Richard Curtis incluse nel copione il suo appartamento privato con la celebre porta blu (all’angolo di Portobello Road, 280 Westbourne Park Road), il cui valore salì immediatamente alle stelle quando fu venduto in favore di un’organizzazione umanitaria. Dimenticata la Londra violenta di “Arancia meccanica” (1971), si può restare nel frivolo visitando la casa di Bridget Jones, sopra il pub The Globe (8 Bedale Street). Nel lasciare Londra, inevitabile partire dal celebre celebre binario 9 e ¾ di “Harry Potter e la pietra filosofale” (stazione di King’s Cross). Inutile invece cercare il Castello di Hogwarts, realizzato con parti di diversi edifici sparsi per l’Inghilterra (ad esempio la Biblioteca è la celebre Bodleian Library dell’Università di Oxford). Non stupisce che la città che più deve al cinema sia Las Vegas - già così simile di suo ad una scenografia... – grazie ad una serie di film fortunati, da “Colpo grosso/Ocean’s Eleven” (1960), a “Viva Las Vegas” (1964, con Elvis Presley), fino a “Proposta indecente” (1993).
Nella maggior parte dei casi non è troppo difficile riconoscere le città nei film, a cominciare naturalmente da Los Angeles e Hollywood, in un percorso che va da “Gioventù bruciata” (1955) a “Pretty Woman” (1990, la Penthouse Suite è nel lussuoso Beverly Wilshire Hotel), sino alla Los Angeles del 2010 di “Blade Runner” (1982), appena nascosta dietro gli effetti speciali. New York entra invece prepotentemente nell’immaginario collettivo già con “King Kong” (1933) arrampicato sull’Empire State Building, ma vi resta soprattutto grazie ad attrici famose: imperdibile l’angolo tra Lexington Avenue e East 52nd Street, dove la gonna di Marilyn Monroe viene sollevata dal vento in “Quando la moglie è in vacanza” (1955); e “Colazione da Tiffany” (1961) inizia con Audrey Hepburn davanti alla gioielleria Tiffany al 727 Fifth Avenue, mentre ripercorrendo le tracce di un orgasmo perfettamente simulato si finisce da Katz’s Delikatessen (205 East Houston Street), dove una targhetta sul tavolo ricorda “You are sitting where Harry met Sally”. Comunque New York può ospitare film profondamente diversi, e così se “Taxy Driver” (1976) racconta i quartieri disagiati - Brooklyn, il Bronx, Harlem - “Manhattan” di Woody Allen (1979) ne celebra la parte più elegante: Broadway, la Fifth Avenue, Washington Square...
L’Italia è nel volume (in parti che andavano meglio adattate al pubblico nazionale) con le prevedibili “Vacanze romane” (1953), il film che riportò I turisti americani a Roma dopo la guerra, e con il celebre bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi (“La dolce vita”, 1960; ma Via Veneto era ricostruita negli studi di Cinecittà). E Firenze è ovviamente soprattutto una “Camera con vista” (1985), anche se la Pensione Bertolini nella realtà non esiste, e la celebre vista panoramica sul Duomo e Palazzo Vecchio si gode dall’Hotel degli Orafi (Lungarno Archibusieri 4, camera 412).
Non sempre peraltro l’apparenza corrisponde alla realtà: e così la Vienna del ‘700 di “Amadeus” (1984) è semplicemente Praga, uscita indenne dalla seconda guerra mondiale. E se “La stangata” (1973), con Robert Redford e Paul Newman, è per molti il film di Chicago per eccellenza, tuttavia è stato girato per la maggior parte negli Universal Studios di Los Angeles. Davvero difficile poi rendersi conto (i riferimenti reali furono cancellati al computer) che la Chicago del 2199 di “Matrix” (1999) è in realtà Sydney... Per consolarsi si può visitare la Pilgrim Baptist Church (Chicago, 3235 East 91st Street, nel film è la Triple Rock Church), dove si svolge una scena famosa di “The Blues Brothers” (1980).
Una volta chiuso il libro, resta soprattutto il desiderio di provarlo come guida turistica (anche se questo non è il fine principale delle autrici), alla ricerca di un raffinato déjà-vu di natura davvero particolare.


Clavis

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Negli anni Sessanta migliaia di giovani viaggiatori di ogni Paese, affascinati dall'Oriente e in fuga dalla lotta quotidiana "dalle 9 alle 5" per il guadagno e la carriera, percorsero la "rotta hippy" (Hippie Trail), seimila miglia attraverso sei Paesi e tre grandi religioni.
Una generazione ispirata da Kerouac, Ginsberg, i Beatles e Bob Dylan guardò con curiosità e disponibilità ad altri popoli e civiltà: furono i primi europei a viaggiare per essere colonizzati piuttosto che per colonizzare, e prima della grande stagione dell'impegno politico pensarono che solo cambiando se stessi avrebbero potuto cambiare il mondo. Nel frattempo, ad ogni buon conto, si divertirono parecchio.

Il "grande viaggio" cominciava nel Pudding Shop di Istanbul, con un annuncio affisso sulla bacheca per trovare mezzi di trasporto o compagni: una necessità, dato che si viaggiava in strettissima economia, utilizzando treni, autobus, l'autostop naturalmente, ma anche i veicoli più improbabili, dalle jeep della seconda guerra mondiale ai celebri Volkswagen Combo. Il percorso si snodava attraverso la Turchia, l'Iran, l'Afghanistan e il Pakistan (ricalcando in molte parti l'antica Via della seta), per concludersi a Kathmandu in Nepal, dove ancora oggi Freak Street ricorda quei tempi, o a Goa in India, con le interminabili feste sulla spiaggia ballando alla luce dei falò.

La rotta hippy si chiuse nel 1979, quando l'Ayatollah Khomeini prese il potere in Iran bloccando le frontiere, e l'Afghanistan veniva invaso dai sovietici. Dopo di allora la situazione è sempre peggiorata, e oggi quei Paesi, un tempo liberamente percorsi dagli hippy, si sono trasformati in teatri di guerra interamente preclusi ai nostri viaggi.

Nei decenni seguenti gli Hippy saranno ricordati soprattutto per gli aspetti più superficiali - i simboli di pace, i fiori, i capelli lunghi, l'amore libero e le droghe - ma la loro eredità è molto più profonda e sostanziale. Da quella stagione, ad esempio, vengono molti dei nostri stili di viaggio - low cost, a piedi, "zaino in spalla" - e anche molte delle guide (Lonely Planet, Routard) che usiamo abitualmente.

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