lunedì 29 ottobre 2007



Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam soleva raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel, a Cracovia. Dopo anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, gli era stato ordinato in sogno di cercare un tesoro nella città di Praga presso il ponte che conduce al Castello reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Rabbi Eisik si mise in cammino e andò a Praga a piedi. Ma presso il ponte stavano giorno e notte sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare. Tuttavia andava al ponte ogni mattina e vi girava attorno fino a sera. Finalmente il capitano delle guardie, che l'aveva osservato, gli chiese amichevolmente se cercasse qualcosa o se aspettasse qualcuno. Rabbi Eisik raccontò il sogno che l'aveva condotto lì da così lontano. Il capitano rise: "E tu povero diavolo sei venuto fin qui con le tue scarpe logore per un sogno! Sì, presta fede ai sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi la via tra le gambe quando una volta mi fu ordinato in sogno di andare a Cracovia e nella stanza di un ebreo, che doveva chiamarsi Eisik figlio di Jekel, dissotterrare di sotto la stufa un tesoro. Eisik, figlio di Jekel! Mi vedo proprio a buttare all'aria i pavimenti di tutte le case laggiù dove una metà degli ebrei si chiama Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise di nuovo. Rabbi Eisik s'inchinò, tornò a casa, dissotterrò il tesoro e costruì la sinagoga che si chiama la Scuola di Reb Eisik figlio di Reb Jekel.



Da qualche tempo c’è più gente nei cimiteri (voglio dire i visitatori, non sottoterra). È un nuovo turismo in rapida crescita, e senza strategie di marketing, anzi anche gli esperti sono stati presi di sorpresa: quando due anni fa il Touring Club Italiano decise di stampare una guida ai cimiteri (“Cimiteri d’Europa. Un patrimonio da conoscere e restaurare”), nelle riunioni in redazione non mancarono motti di spirito e gesti scaramantici, ma la tiratura andò esaurita in poco tempo. Nel frattempo, negli Stati Uniti, “Cemetery Walk” di Minda Powers-Dougles, che racconta un viaggio tra i semplici cimiteri di campagna americani, è diventato un best seller, così come “The Tombstone Tourist” di Scott Stanton, che ha invece ricercato le tombe di grandi musicisti del ‘900. Quest’ultimo ha anche aperto la discussione sul nome da dare a questi turisti di nuovo tipo: “Taphophiles”? “Cemetery enthusiast”? “Grave hunter”? “Graver”?
Perché si visitano i cimiteri? Naturalmente - e non da oggi - si visitano i cimiteri monumentali (a Milano, ma anche lo Staglieno a Genova, o San Michele su un’isola di Venezia ecc.
http://www.significantcemeteries.net/): è un punto di vista diverso dal solito, non banale, per conoscere una città. In casi come il Père Lachaise, il primo e più famoso cimitero moderno d’occidente, l’attrattiva maggiore sono soprattutto le tombe di personaggi famosi: Abelardo ed Eloisa, Chopin, Marcel Proust, Oscar Wilde, Honoré de Balzac, Sarah Bernhardt, Jim Morrison (http://www.findagrave.com/). Anche troppi, se pensiamo che basta una celebrità per fare la fortuna di un cimitero sin lì sconosciuto, come Fremantle, in Australia, dove è sepolto Bon Scott, il leggendario leader degli AC/DC trovato morto nell’auto di un amico dopo una notte alcolica. La sua tomba è oggi visitata da migliaia di fan (si spera non per imitarne esempio, come auspicava Foscolo), e qualcuno ha anche rubato la lapide (souvenir?). A volte la morte dà spettacolo di sé, come nelle catacombe di Parigi, o nel cimitero sotterraneo dei Cappuccini a Palermo. Da sempre si visitano poi cimiteri di stranieri, a cominciare da quelli bellissimi degli Inglesi a Firenze e Roma, in memoria dei molti viaggiatori che tra ‘’800 e ‘900 vi soggiornarono a lungo, e scelsero di restarvi per l’eternità. Altri non ebbero invece l’opportunità di scegliere il loro destino, come le migliaia di soldati raccolti nei cimiteri di guerra (la visita più interessante è senza dubbio a Montecassino). Ci sono poi i cimiteri di minoranze, a cominciare da quelli ebraici: il più famoso è quello di Praga, dove si è sopperito alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe strato su strato, con un effetto fortemente evocativo.
Gli esempi e le tipologie potrebbero continuare, ma i nuovi visitatori riprendono solo in parte queste motivazioni consolidate, e non sono neppure molti quelli che coltivano un gusto macabro per i luoghi di morte. Nella maggior parte dei casi questi turisti prediligono invece cimiteri poco noti, semplici, quotidiani. Passeggiano lungo i vialetti come se si trovassero in un giardino, e riconoscono piante, fiori, uccelli. Si accostano rispettosi alle tombe di sconosciuti, e provano a ipotizzare genealogie, e a ricostruire altre vite, sino a quel momento completamente estranee. Osservano piccoli gesti di pietà ed esercizi di memoria. Leggono le iscrizioni, apprezzano e meditano le più riuscite, colgono ingenuità e involontarie ironie. Contemplano i monumenti, e la loro battaglia, perduta in partenza, contro la corruzione (niente decade rapidamente come una tomba trascurata). Insomma, in forme diverse, riflettono sul passato, sul tempo e sulla morte. Un esercizio per il quale non mancano opportunità. Infatti, per ogni cimitero famoso, molti altri possono essere una scoperta personale, a volte a poca distanza da casa. E, in attesa del Giudizio universale, l’offerta dovrebbe essere garantita, dal momento che in Italia soltanto ci sono circa 16.000 cimiteri, per un totale di 100 milioni di tombe. Almeno questo è un settore del turismo al riparo dalla crisi...

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domenica 28 ottobre 2007


Una vecchia guida turistica del Medio Oriente pubblicata dalla Lonely Planet, è il testo su cui gli Usa hanno basato (e basano) i piani per la ricostruzione del Paese. La scioccante rivelazione è stata fatta dall'ex ambasciatore Usa Barbara Bodine, che faceva parte della task-force incaricata di pianificare il dopoguerra, nel corso dell'inchiesta della Bbc 'No plan, no peace', che va in onda stasera. Nessuna idea. Dunque l'accusa spesso mossa all'amministrazione Bush, anche da suoi ex membri, trova ora una clamorosa conferma: gli Stati Uniti andarono alla guerra contro Saddam senza la più pallida idea su come poter ricostruire il Paese dopo il conflitto. Non solo, ma la stessa conoscenza dell'Iraq, era di fatto inesistente, basata su una guida della Lonely Planet, per giunta vecchia, del 1994. La guida. "E' un'ottima guida. Ma non dovrebbe essere la base di un'occupazione", dice ora candidamente al Sunday Mirror, l'ex ambasciatore Usa Barbara Bodine, una delle 170 persone che avevano il compito di coordinare la ricostruzione del dopo guerra. E spiega che nessuno aveva informazioni su quel che si doveva fare, così lei e i suoi colleghi ricorsero alla guida. L'Iraq in pillole. Il team apprese dalla Lonely Planet dell'economia, della geografia e della cultura irachena in pillole. Vennero copiati gli indirizzi delle ambasciate da quel libro, certo non pensato per dare informazioni strategiche. Nel suo reportage 'No plan, no peace' la Bbc evidenzia come questa sconcertante superficialità abbia portato all'instabilità dell'Iraq, con i suoi circa 90.000 morti civili nel dopoguerra, senza contare le centinaia di militari Usa e britannici caduti, nonché i 500 miliardi di dollari spesi per la guerra e per l'occupazione nei sanguinosi anni di terrore e violenza che l'hanno seguita.
"Non abbiamo bisogno di un piano". Tra le testimonianze citate, quelle del generale britannico Tim Cross, il più alto in grado a essere coinvolto nella ricostruzione, che attacca la mancanza di pianificazione: "Il piano a lungo termine era: non abbiamo bisogno di un piano", accusa l'alto ufficiale. Vecchia e nuova Lonely Planet. Il Mirror fa anche un raffronto tra quello che scriveva sull'Iraq la Lonely Planet sul Medio Oriente del 1994, e quello che scrive oggi la stessa pubblicazione australiana, anche per evidenziare che le cose sono drammaticamente peggiorate, dopo la guerra. Per esempio, spiegando perché visitare l'Iraq, Lonely Planet diceva: "L'Iraq ha le radici nella Storia. Dagli anni '50 è molto cresciuto. Ci sono molti luoghi interessanti da visitare", (1994); E nel 2007: "E' uno dei posti più pericolosi della terra. Gli occidentali sono obiettivo di rapimenti e di attacchi suicidi. Non è un posto dove andare in vacanza". Oppure, su come chiamare un taxi: se nel 1994 scriveva che "taxi condivisi possono essere usati per muoversi tra le città. I colori dei taxi sono crema ed arancione", nel 2007 si ammette: "Nel momento in cui andiamo in stampa, l'Iraq non è un posto sicuro dove viaggiare in maniera indipendente". Triste anche il raffronto sullo stato, oggi tragico, dei musei iracheni: "Sono eccellenti. Molti sono gratuiti e ospitano numerosi pezzi interessanti", (1994). "Molti dei musei sono stati saccheggiati dopo la guerra del 2003. Possono essere o meno aperti", (2007). Infine, un monito al viaggiatore solitario, con il quale la Lonely Planet 2007 sul Medio Oriente parla chiaro sull'Iraq: "Devi essere pazzo ad andarci".


(da www.repubblica.it)



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