giovedì 17 aprile 2008


Il tempo del viaggio è per definizione più pieno e intenso di quello ordinario. Vogliamo fare di più, vedere di più, sentire di più; vogliamo mettere nel viaggio tutto il possibile, anche per compensare le frustrazioni della quotidianità. Riuscirci è un altro discorso, e troppe aspettative portano a quel senso di insoddisfazione che ci attende al ritorno. Nasce da qui la riscoperta dei “viaggi lenti”: progetti, ritmi, distanze, percorsi... tutto si proporziona a una scala più realistica, a misura d’uomo. Una tendenza ormai consolidata, riassunta con chiarezza ed efficacia (anche con informazioni pratiche) da Gaia De Pascale nel suo recente “Slow Travel” (Ponte alle Grazie, pp.144, €11,00).
Sviluppando questa prospettiva, possiamo sperimentare un viaggio in levare molto raffinato, un viaggio costruito per sottrazione anziché per aggiunta: il viaggio alla ricerca del silenzio. L’obiettivo è affrancarsi dall’eccessivo rumore quotidiano in cui viviamo immersi, e che continua spesso anche in vacanza: i clacson, la musica, i cellulari soprattutto, simbolo per eccellenza dell’impossibilità di isolarsi. Qualcuno non ne può più: l’anno scorso Treviso ha addirittura dedicato un festival a questo tema (
www.festivaldelsilenzio.org). Per muovere i primi passi in una direzione diversa si può recuperare una guida di qualche anno fa, passata quasi inosservata: “Silenzio si viaggia” (Airplane, pp.300, € 15,00). La guida propone itinerari nella vicina Italia dove, nonostante il Paese sia densamente popolato, è ancora possibile trovare oasi di silenzio: possono essere aree archeologiche, o miniere abbandonate, ma anche città di provincia e piccoli borghi; e angoli di silenzio si possono trovare persino nelle metropoli, ad esempio varcando la soglia di una basilica ombrosa.
In ogni caso non dobbiamo pensare al silenzio come a un vuoto irrimediabile, fallimentare. Per cominciare, i silenzi sono molto diversi tra loro: ci sono silenzi di approvazione o di condanna, di stima o di disprezzo, eloquenti o enigmatici; silenzi massicci come un muro, o fragili come il vetro; silenzi vuoti con nulla da dire, o dove tutto è stato detto, e silenzi pieni che attendono solo di aprirsi. Il viaggio può aiutarci ad apprendere il silenzio e le sue declinazioni. Ritrovare il silenzio rispetto a suoni ripetuti e al tempo stesso banali serve anche a riscoprire altri rumori: persone che parlano, giochi di bambini, le grida di un mercato, il rumore del vento o lo stormire degli alberi. Come scrive Italo Calvino: “Di fatto, ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l'avvolge: il silenzio dell'isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d'uccelli o da un improvviso frullo d'ali”.
Una declinazione fondamentale del viaggio nel silenzio è naturalmente il viaggio nella natura, nei grandi parchi. Si può fare quasi ovunque, anche se ha un significato particolare in Paesi come il Canada o l’Alaska: qui può capitare di essere soli in un territorio grande come un piccolo Stato europeo. È un viaggio rilanciato con forza da un recente libro di successo, “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer (Corbaccio, pp.272, € 16,60), che racconta la storia sfortunata di un giovane che insegue l’ideale dell’autosufficienza, del bastare a sé stessi avendo a disposizione il minimo. Seguendo questa traccia a ritroso, si finisce inevitabilmente per incontrare un libro di viaggio (a modo suo) poco noto, ma che ha lettori devoti, e che può cambiare la propria visione del mondo: mi riferisco a “Walden. Vita nel bosco” (nella bella edizione di Donzelli, pp.246, € 21,00). L'autore, Henry David Thoreau, per oltre due anni (1845-47) visse da solo in una casa nei boschi, costruita con le proprie mani sulle rive del Lago di Walden, a Concord, Massachusetts. Nel silenzio ritrovato ogni rumore acquista rilievo e svela un senso profondo, in questo caso il ritorno della primavera: “Si può capire guardando ogni ramoscello della foresta, anzi, la vostra stessa catasta di legna, se l’inverno è passato o meno. Mentre si faceva più buio, sobbalzai per lo starnazzare delle oche che volavano basse sui boschi, come viaggiatori stanchi arrivati in ritardo dai laghi meridionali, dando sfogo a una lamentela incontrollata e a una reciproca consolazione. Dalla mia porta, sentivo il trambusto delle loro ali; quando, dirigendosi verso la mia casa, improvvisamente scorgevano la luce e con un clamore soffocato viravano e si fermavano sul lago. Così entrai, chiusi la porta e passai la mia prima notte di primavera nei boschi.”
Infine il silenzio è la premessa per (ri)stabilire un dialogo con sé stessi, un dialogo interiore che spesso assume coloriture religiose. Complice un film di successo, “Il grande silenzio” (2005), ambientato in un monastero certosino vicino a Grenoble: quattro mesi della vita dei monaci sono raccontati in due ore senza bisogno di parole. E ormai da diversi anni assistiamo alla crescita senza troppo clamore (appunto!) ma continua dell’ospitalità religiosa, che coinvolge migliaia di persone. Se in passato erano privilegiate le case vacanza al mare o nelle città d’arte, soprattutto come scelta economica per famiglie numerose, ora molti visitatori chiedono invece di vivere nei monasteri, per ritrovare spazi di silenzio e di pensiero. Di solito si soggiorna per una settimana, in stanze sobrie ma ragionevolmente confortevoli; prenotate per tempo, perché alcuni dei conventi più famosi (ad esempio
www.monasterodibose.it) sono spesso vicini al tutto esaurito. Preghiera, meditazione, o anche soltanto tranquillità: la scelta di quanto condividere le diverse attività, specie il culto, è di solito lasciata all’ospite, che trova spesso nel monastero anche l’occasione per consumare prodotti naturali, o per visitare i luoghi circostanti, attraenti e ricchi di storia. Una valida selezione di proposte si può trovare nella nuova edizione ampliata di “Abbazie, monasteri e luoghi dello spirito” (Touring Editore, pp.272, € 18,00).
Il viaggio infine potrebbe essere un’occasione preziosa per ricercare il silenzio anche come forma di autocontrollo, di padronanza della parola. Una qualità facilmente perduta nel mondo contemporaneo, che esalta la comunicazione, e considera il silenzio (ad esempio il “silenzio stampa”) una specie di punizione. Eppure, quante volte rimpiangiamo di aver parlato, perché non tutto può essere detto, perché non è sempre il momento di dirlo... “Le parole sono preziose, ma più prezioso è il silenzio" ammonisce il saggio, e anche la sapienza popolare non ha dubbi: “Il silenzio è d’oro”.

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