giovedì 8 novembre 2007

"Evitare che i bimbi innocenti strappino inconsciamente le foglie".
Da un cartello sul muro di una villa di Lugano da poco demolita.

lunedì 5 novembre 2007


Dal Carnet di Stefano FARAVELLI

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Tony Wheeler, fondatore e presidente della Lonely Planet, la più importante casa editrice nel campo delle guide turistiche (acquistata dalla BBC solo pochi giorni fa), è stato descritto dal New York Times come “il più influente viaggiatore del nostro tempo”. Quando un anno fa fu ospite dell’USI a Lugano, mi raccontò divertito di questo progetto, che si è ora tradotto in un libro davvero originale, da pochi giorni disponibile in libreria: “Bad Lands. Un turista sull’Asse del male”, EDT, Torino 2007, 328 pp., € 16,50.

È il racconto dei suoi viaggi in 9 “Bad Lands”: Afghanistan, Albania, Birmania (Myanmar), Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea del Nord, Arabia Saudita. Ma è soprattutto un onesto tentativo di capire quanto un paese è veramente “cattivo”, e cosa lo rende tale, andando sul luogo di persona, e non per sentito dire, o attraverso le immagini deformate dei media.
In questi giorni Tony Wheeler è in Italia. Ecco come racconta i suoi viaggi nelle “Bad Lands”.

Chi l’ha spinta a scrivere questo libro?
George Bush. Sono sempre stato interessato ai Paesi “difficili”, e da molto tempo coltivavo l’idea di scrivere qualcosa sui cosiddetti “stati canaglia”. Quando George Bush ha stilato il suo elenco di Paesi dell’Asse del male, il mio primo pensiero è stato: “Devo assolutamente andarci”. Avevo già visitato più volte l’Iran, trovandolo bello e ospitale, ma non ero mai stato in Corea del Nord o in Iraq. Cominciai a considerare quella lista come un possibile itinerario di viaggio, e così i tre Paesi dell’Asse del male diventarono il cuore di “Bad Lands”, e non fu difficile trovare altri candidati da inserire nel libro.

Paesi “cattivi”, dunque pericolosi?
Devo dire che mi sono trovato a sorseggiare un buon tè nei giardini dell’ambasciata britannica di Kabul mentre all’esterno del suo perimetro sferragliavano i fucili, e che mi sono sentito decisamente nervoso quando a Kirkuk, in Iraq, il mio tassista è finito in un vicolo senza uscita. Ma, a parte questi episodi, nell’insieme non mi sono mai preoccupato particolarmente per la mia incolumità, e mi sono anche divertito molto in tutti i Paesi che ho visitato. Forse chi mi ha aiutato a visitarli ha corso più rischi di me, e ho dovuto agire con la massima prudenza per non mettere nei guai le persone che ho incontrato. Beninteso, non ho inventato nulla, ma moltissimi nomi sono stati cambiati.

Quali le sorprese migliori?
Da molti anni desideravo visitare la Libia per vedere le superbe rovine romane, in particolare quelle di Leptis Magna, ma la bellezza del deserto del Sahara, nel sud del paese, mi ha colto del tutto di sorpresa.
In Arabia Saudita non esiste quasi turismo straniero oltre ai pellegrini islamici che arrivano per motivi religiosi, perciò sono rimasto colpito dalla facilità degli spostamenti, dalla relativa tranquillità del mio viaggio e dall’interesse che il Paese suscita nei visitatori. Purtroppo i siti religiosi sono in gran parte preclusi ai non islamici, a differenza di quanto accade in Afghanistan e in Iran. Infine, sono stato avvantaggiato dal fatto di essere maschio. Se fossi stato una donna mi sarei trovato in situazioni ben diverse.
In Iran mi ha sorpreso la cordialità, la schiettezza, l’interesse verso il mondo esterno della popolazione, la straordinaria franchezza delle donne (in contrasto con altri Paesi islamici presi in esame nel libro) e la relativa accessibilità di moschee e siti religiosi.

Quale reazione si augura di suscitare nei suoi lettori?
Spero che lo considerino un viaggio interessante in terre di difficile accesso, e mi auguro che sappiano valutare la relatività del termine “cattivo”. Ogni storia ha sempre due facce: ho cercato di mostrare il lato nascosto, immaginando nel contempo quali risultati darebbe il mio “misuratore di malvagità” se fosse applicato a qualche paese comunemente ritenuto “buono”.

Che cos’è esattamente questo “misuratore di malvagità”?
Mentre scrivevo il libro mi andavo convincendo che doveva esserci un modo per misurare il grado di cattiveria di un Paese, così ho individuato tre criteri: che trattamento riserva quel certo Paese ai suoi stessi cittadini? È coinvolto in attività terroristiche? Costituisce una minaccia per le nazioni circonvicine? In alcuni casi ho dovuto far un salto indietro nel tempo per scoprire il momento in cui un dato paese ha cominciato a essere considerato “cattivo”. Nel caso dell’Albania, per esempio, occorreva risalire al regime di Enver Hoxha, nel caso dell’Afghanistan al momento dell’ascesa al potere dei Talebani. Per la Corea del Nord occorre invece guardare il paese com’è oggi.

Alla fine dei suoi calcoli, proprio la Corea del Nord risulta essere il “Paese cattivo” per eccellenza. Che impressione le ha fatto?
La Corea del Nord è senza dubbio il posto più strano che io abbia mai visitato: un misto di horror e commedia, un parco a tema stalinista, un gulag gestito dai Monty Python. Mi pareva di muovermi su un set cinematografico pieno di edifici finti che avrebbero rivelato la loro vera natura di facciate non appena avessi svoltato l’angolo. Le informazioni a disposizione dei viaggiatori sono talmente scarse da alimentare le peggiori leggende. La mancanza di contatti, il completo isolamento dal mondo esterno e la totale assenza di prodotti occidentali rendono la Corea del Nord un posto molto strano.

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