venerdì 24 marzo 2006

Un viaggio nel cuore più antico della Cina che inizia fra i palazzi della Città Proibita di Pechino e prosegue in regioni remote e ricche di storia come lo Xinjian, il Gansù, il Sìchuan e lo Yúnnán. Come un acquerellista dell'Ottocento, Faravelli viaggia con un piccolo atelier portatile e predilige i ritmi lenti, adatti all'osservazione e alla riflessione. Raccoglie foglie di felci, ascolta le conversazioni per strada, si aggira nei mercati, annota frasi colte al volo, si siede davanti a una fonte sacra per disegnarla, mentre uno sciamano lo veglia in silenzio. A Pechino come a Kashgar, Faravelli ritrae paesaggi, animali e scene di vita quotidiana molto aderenti alla realtà, che sembrano frutto di una visione spontanea e invece sono preparati con cura attraverso letture, ricerche e approfondimenti, in un paziente lavoro di studio prima della partenza. Il suo carnet di viaggio è un catalogo delle meraviglie da sfogliare con calma, pagina dopo pagina, per scoprire una Cina senza tempo, custode di una tradizione millenaria che conserva inalterato il suo fascino.
Stefano Faravelli, "Cina, Carnet di Viaggio", EDT, Torino 2005.
Sui carnet di viaggio: www.biennale-carnetdevoyage.com
www.biennalecarnetdiviaggio.it/

Stefano Faravelli, Attesa di passeggeri
(da "Zoografia Apocrifa")
Un coniglio pronto a partire per il Paese delle meraviglie...


"Cu' è 'nterra parra e sparra, cu' è a mmari navica".
Chi è sulla terraferma, parla e sparla; chi è sul mare naviga. Proverbio siciliano.


"Mentri hai bon ventu, navica cursaru".
Quando hai buon vento, naviga corsaro. Proverbio dei marinai delle Egadi, motto della Scuola del viaggio

giovedì 23 marzo 2006

Where's the best place to get an education? Some might say Harvard or Yale, Oxford or the Sorbonne. But maybe you should add Ndjamena to the list. Universities are - oh so slowly - recognizing that they need to prepare students to survive globalization. But most overseas studies programs are both too short and too tame. They typically involve sending a herd of students for a term in France or Italy, where they study a little and drink a lot together, amid occasional sightings of locals.That's why I bring up Ndjamena, this dusty capital of one of the poorest countries in the world. A student living independently here could learn French and Arabic, and would emerge with a much richer understanding of the world than could be taught in any classroom.Traditionally, many young Britons, Irish, Australians and New Zealanders take a year to travel around the world on a shoestring, getting menial jobs when they run out of money. We should try to inculcate the custom of such a "gap year" in this country by offering university credit for such experiences.So here's my proposal. Universities should grant a semester's credit to any incoming freshman who has taken a gap year to travel around the world. In the longer term, universities should move to a three-year academic program, and require all students to live abroad for a fourth year. In that year, each student would ideally live for three months in each of four continents: Latin America, Asia, Africa and Europe. A student might, for example, start off teaching English and studying Latin American history in Ecuador, then learn Chinese intensively in Chengdu, then work at an AIDS clinic in Botswana while reading African literature on the side, and finish up by studying Islamic history in Istanbul. In each place, the students would live with local families.Since the best way to learn about public health challenges is to endure them, I would also suggest offering extra credit for any student who gets malaria.The cost of a year of travel would be far less than the annual cost of attending many colleges in the U.S. Third-class trains and buses are incredibly cheap; you can sometimes ride free on top of the trains. As a student backpacker myself in India two decades ago, I once lined up with the beggars and lepers of Amritsar to get free gruel from a Sikh temple - but that embarrassed even me. In any case, all this suffering builds character. And students would get far more out of a year of travel than a year in classrooms. Meanwhile, there's no need for universities to take the first step. Spring break season is upon us, and university students are dashing off to party in Mexico and Florida. So, you student readers, how about dashing off instead to Mongolia, where you'll find plenty of sand - the Gobi Desert - and get a truly exotic alcoholic drink: fermented mare's milk. As for parents, if you have a child graduating from high school or college this year, forget about a conventional graduation present. Instead, send him or her off with a friend with a one-way ticket to Timbuktu. Over a year or so, the kids would figure out how to catch rides with trucks north over the Sahara, then hitchhike through the Middle East and across Central Asia. After a temporary job in Calcutta to earn a few rupees, they could migrate through East Asia and then make enough money as tutors teaching English in China to buy cheap air tickets home. Now, that would be an education!You may not know that one of the most cosmopolitan states is Utah. That's because so many young Mormons spend two years abroad as missionaries. They learn languages, live as the locals do and bring back a worldliness that stays with them forever. All this has been throat-clearing for my own announcement: In an effort to put my company's money where my mouth is, I'm sponsoring a contest in which I'll take a university student with me on a reporting trip to a remote part of Africa. We'll visit schools, clinics and villages, perhaps chatting with presidents in their villas and Pygmies in the rain forest. The winner will write a Weblog for nytimes.com and prepare a video blog that will be shown on mtvU.
So if you're a masochistic student - or if you have an ex you want to send into a malarial jungle - you can find out more information at
www.nytimes.com/winatrip.
And even if you don't win, you can do this kind of thing on your own. So I'll hope to see you hanging out in Ndjamena by the Chari River, as the hippos bellow nearby.
"On the Road, You and Me", by Nicholas D. Kristof
The New York Times, March 21, 2006 (Copyright 2006, The New York Times Company)

The right Guidebook: Charlotte Hindle, Joe Bindloss, "The Gap Year Book", Lonely Planet 2005 (2nd Edition).

mercoledì 22 marzo 2006

Nella lingua cinese Shan shui, cioè monti e acque, sono due ideogrammi che, assieme, significano “paesaggio”: Lao shan shui, cioè “vecchio di acque e montagne”, significa viaggiatore, viandante.

martedì 21 marzo 2006

"Se vuoi conoscere un uomo viaggia con lui. Se vuoi conoscere te stesso viaggia da solo. Se vuoi capire il tuo paese metti casa in un altro paese.” Bob Shacochis

lunedì 20 marzo 2006

Rushi, ovvero “entrata nel mondo”, è l’acronimo cinese dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), e rende come meglio non si potrebbe l’affacciarsi sulla scena internazionale, quasi per la prima volta nella sua millenaria storia, di quello che soltanto trent’anni fa era uno dei Paesi più chiusi. Questa apertura ha assunto forme diverse, politiche, commerciali e finanziarie naturalmente, senza dimenticare comunque il lancio del primo volo spaziale (nel 2003), la qualificazione per la Coppa del mondo di calcio, o l’organizzazione delle Olimpiadi del 2008 a Pechino. E tuttavia la diffusa curiosità per l’ “Impero del Centro” si traduce assai di rado in buone guide turistiche. Da qualunque lato la si prenda, la Cina non si lascia descrivere facilmente: è un Paese troppo vasto per essere raccontato da fuori, troppo popolato per essere compreso attraverso i suoi abitanti, troppo complesso per essere rinchiuso nel breve giro di un volume, con una storia troppo lunga per consentire qualunque sintesi.
Il Touring Club Italiano ha tentato di superare queste difficoltà con una guida di buon livello e di nuova concezione, significativamente (ma anche banalmente) battezzata “L’altra guida”. Di formato ridotto e ben illustrata (ma le copertine sono da ripensare), già nel titolo mostra la sua impostazione particolare: gli abitanti del Paese - uomini e donne, giovani e vecchi, la famiglia e i bambini (i famosi figli unici effetto della rigida pianificazione centrale delle nascite) – e la vita quotidiana (le relazioni sociali, i consumi, il tempo libero e gli svaghi) hanno uno spazio almeno pari a quello di argomenti più tradizionali. Di particolare interesse ad esempio le pagine che descrivono il turismo cinese, di cui da qualche tempo si parla molto (generando grandi aspettative), ma spesso a sproposito, e con poca cognizione di causa. Salita al quarto posto nelle destinazioni mondiali dopo Francia, Spagna e Stati Uniti, scavalcando proprio l’Italia, anche la Cina ha da poco scoperto la pratica del turismo: infatti solo nel 1995 il sabato ha smesso di essere dedicato all’istruzione politica, svelando ai cinesi le attrattive del week-end, mentre nel 2000 sono state introdotte tre settimane di ferie pagate, ripartite tra Capodanno (che cade in un periodo variabile tra la metà di gennaio e la metà di febbraio), il primo maggio e la festa nazionale del 1 ottobre, di cui approfittano già tra 70 e 90 milioni di cinesi.
Questo approccio implica naturalmente la rinuncia a priori a ogni tentativo di dare un’informazione compiuta, e anche per questo si tratta di un volume da leggere prima della partenza (o magari dopo il ritorno), ovviamente destinato ad affiancare, più che sostituire, una guida tradizionale, e comunque utile per chiunque abbia relazioni, non solo turistiche, con la Cina. Il risultato è interessante, e la prova è che anche un Paese naturalmente meglio noto ma comunque di difficile comprensione, come il Giappone, argomento del secondo volume della nuova collana, appare in una prospettiva diversa, che mette in discussione molti stereotipi e luoghi comuni sedimentatisi nel tempo.
Lo sforzo maggiore della guida è forse quello di rendere un’identità problematica e in rapida trasformazione: oggi tutto o quasi, in Cina, può essere raccontato da due punti di vista, quello di una tradizione quasi senza tempo, pur se duramente messa alla prova nel XX secolo dalle brusche accelerazioni impresse dal comunismo, e quello determinato dalla recente apertura a forme di produzione e stili di vita occidentali; non senza il sospetto che in Cina i mutamenti e le rivoluzioni nascondano in realtà sotterranee continuità che sfuggono agli occhi degli Occidentali abituati, anche da turisti, a cogliere ciò che si trasforma piuttosto che ciò che permane. Ma bisogna forse entrare nell’ordine di idee che in viaggio non dovremmo cercare solo risposte, e che lasciar spazio a una nuova curiosità, o individuare una domanda intelligente da porre al Paese visitato, è comunque un acquisto. Anche correndo il rischio di subire il rimprovero che ne “Le città invisibili” di Calvino l’imperatore dei Tartari Kublai Kan rivolge a Marco Polo: “Gli altri ambasciatori mi avvertono di carestie, di concussioni, di congiure, oppure mi segnalano miniere di turchesi nuovamente scoperte, prezzi vantaggiosi nelle pelli di martora, proposte di forniture di lame damascate. E tu? – chiese a Polo il Gran Kan. – Torni da paesi altrettanto lontani e tutto quello che sai dirmi sono i pensieri che vengono a chi prende il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve allora tanto viaggiare?”
Catherine Bourzat, "Cinesi e Cina", traduzione di Donatella Volpi, Il Viaggiatore (Touring Club editore), Milano 2005, pp.180, € 12,00.
Philippe Pons e Pierre-François Souyri, "Giapponesi e Giappone", traduzione di Luciana Saetti, Il Viaggiatore (Touring Club editore), Milano 2005, pp.160, € 12,00
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(Claudio Visentin, Università della Svizzera italiana)

POSH significa in inglese: elegante, lussuoso, ricercato, raffinato, aristocratico. Ma pochi sanno che viene dal mondo dei viaggi, dal tempo quando gli splendidi piroscafi della P&O (Peninsular and Oriental Steam Navigation Company) collegavano la Gran Bretagna con i suoi possedimenti imperiali d’Africa e d’Asia. E il miglior trattamento a bordo era chiamato in gergo Port Out, Starboard Home (le iniziali formano appunto POSH): cioè quando la nave salpava verso Oriente si alloggiava in una cabina a babordo, mentre nel viaggio di ritorno si passava a tribordo, per evitare gli sgradevoli effetti della sabbia del deserto...