giovedì 20 dicembre 2007


In principio fu il viaggio per nozze, il “Viaggio della sposa”, come nell’omonimo film, ambientato nel Seicento: la bella Porzia (Giovanna Mezzogiorno), cresciuta in un convento abruzzese, intraprende un viaggio avventuroso verso Bari, dove la aspettano le nozze con un suo pari. Ma il fastoso corteo nuziale, del quale fa parte anche un rozzo stalliere (Sergio Rubini, che è anche il regista del film), viene assalito dai briganti e...
In quei tempi la giovane donna era soprattutto lo strumento attraverso cui legare famiglie, e al bisogno rinvigorire patrimoni: il pegno di un accordo tra uomini, che si trasferivano la proprietà e il controllo del corpo femminile. All’inizio dell’Ottocento simili vicende non erano ancora uscite completamente dal costume, ma nel moderno contesto urbano e industriale già si affermava tra la borghesia (altra storia i matrimoni popolari) la nuova moda dei viaggi di nozze. Alla donna si cominciava a concedere voce in capitolo nella scelta del futuro marito: poteva rifiutare un pretendente, se non sceglierlo. Ma i due sposi non avevano quasi modo di conoscersi, da ogni punto di vista, nel tempo del sorvegliatissimo fidanzamento. Forse anche per questo verso la metà del secolo si diffuse l’usanza di trascorrere lontano da casa la luna di miele: saggia formula che ricorda quanto la felicità di quei giorni sia dolce (appunto come il miele), ma non duri più di una luna (cioè un mese circa). Il viaggio di nozze presentava diversi aspetti positivi: sottraeva gli sposi alla curiosità del vicinato e agli scherzi dei monelli, e spostava in un terreno neutrale – un Paese lontano – lo stabilirsi di relazioni ed equilibri interni alla coppia; c’era naturalmente la scoperta del sesso; per la moglie poi era spesso l’unica opportunità, prima delle gravidanze, di visitare Paesi lontani, e le si concedeva dunque di avere voce in capitolo nella scelta della meta. Allo sposo si chiedeva invece di mostrare durante il viaggio la capacità di svolgere quel ruolo di guida che avrebbe in seguito ricoperto tra le mura domestiche. Negli auspici, partivano due individui e tornava una famiglia, che al ritorno si trasferiva nella nuova dimora, simbolicamente separata dai rispettivi genitori.
Questo viaggio così particolare trovò presto le sue mete predilette: per gli Americani erano d’obbligo le Cascate del Niagara (simbolo trasparente di un grande salto con il quale il fiume inizia un nuovo percorso), mentre gli Europei preferivano naturalmente la romantica Parigi, celebrata nei romanzi d’amore letti avidamente dalle signorine. Per lungo tempo queste rimasero le destinazioni preferite, con varianti nazionali: in Italia per esempio le mete da sogno furono (e sono) Venezia, Firenze o Capri, ma anche la politica volle dire la sua quando il fascismo raccomandò (anche con agevolazioni) la Roma del nuovo, fugace Impero agli sposi novelli.
Nel secondo dopoguerra l’industria turistica ormai pienamente sviluppata fu sin troppo felice di assecondare la nuova tendenza, poiché gli sposi erano clienti ideali: ben disposti a spendere, anche per ragioni di prestigio sociale, e poco interessati a occuparsi di persona del viaggio, dopo tutte le fatiche del matrimonio. Grazie alla diffusione del trasporto aereo, le mete cominciarono a estendersi ai paradisi tropicali: Caraibi, Maldive, Polinesia, Seychelles... Ai nostri giorni sono ormai numerosi i Tour Operator specializzati, e agli sposi sono regolarmente riservati appositi cataloghi e fiere (in arrivo a gennaio 2008 Lugano Sposi:
www.luganosposi.com). A titolo di curiosità, la meta più esclusiva di quest’anno è considerata l’isola di St. Lucia nei Caraibi (www.stlucia.org), premiata con il World Travel Award.
Negli ultimi decenni tuttavia la crisi e il declino del matrimonio tradizionale hanno nuovamente rimescolato le carte. Le coppie si sposano più tardi (se e quando si sposano), e spesso giungono al matrimonio dopo lunghe convivenze di prova. Certo il viaggio di nozze rimane un momento piacevole (perché rinunciarvi?) ma finisce per assomigliare molto a una vacanza come le altre, magari un po’ più agiata, e ha perso pressoché per intero il suo significato di rito di passaggio. In compenso nuovi comportamenti sociali si affacciano. Sono infatti sempre più numerosi i divorziati che desiderano risposarsi, e il galateo (Lina Sotis è stata di recente categorica al proposito) considera di cattivo gusto una replica del rito tradizionale. Altri sognano un matrimonio fuori dal comune (in tutti i sensi). Ecco allora, specie negli Stati Uniti e in Germania, ma forse presto anche tra noi, tornare in altra forma il viaggio per nozze, da cui eravamo partiti. Gli sposi cioè non partono dopo la cerimonia, bensì la celebrano proprio all’estero, preferibilmente da soli o con pochi intimi (anche per evitare situazioni in stile “Matrimonio alle Bahamas”, l’ultimo film di Natale di Massimo Boldi). Questa nuova domanda ha provocato il fiorire di una molteplice offerta: resta naturalmente il “tradizionale” matrimonio a Las Vegas (Susan Marg, “Matrimoni vip a Las Vegas. Come organizzare nozze da star nella capitale del gioco”, FBE 2006, pp.240, € 13,00), magari con un sosia di Elvis Presley (non è uno scherzo); sono solo un po’ meno facili che in passato (non è sempre consentito sposarsi di notte per esempio). Altrimenti è possibile sposarsi in un castello, in un tempio tailandese, in una chiesa di ghiaccio in Lapponia, o a Disneyland: momento centrale l'arrivo degli sposi sulla carrozza di Cenerentola, con Topolino e Minnie ad attenderli... Ma ci si può sposare anche sott’acqua, sul ponte di una nave da crociera in stile “Love Boat”, o in volo su di un piccolo aereo. Nel “Ticino romantico”, che pure forse si presterebbe, non sembrano esservi molte opportunità in questo senso: potrebbe essere un mercato interessante da esplorare.
In ogni caso, anche se si tratta di un caratteristico momento di abbandono, è sempre meglio fare attenzione. E così, se sposarsi in riva al mare con il tradizionale rito polinesiano, comparse in costume tradizionale, canti e danze, non ha (salvo specifica richiesta) valore legale, in altri casi sarà bene non dare per scontato che un matrimonio stravagante, deciso magari d’impulso, non abbia poi conseguenze di lunga durata... Ma forse questa è già la trama del prossimo film di Natale 2008?

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Se digitate su di un motore di ricerca le parole “Canton Ticino” e “turismo responsabile” non aspettatevi molto. Cercando con pazienza si trova al massimo un’iniziativa in Valle Maggia (www.guideotm.ch) e una piccola, merite-vole associazione (www.tralegenti.ch) che promuove viaggi responsabili, sino ad ora in Marocco, Ecuador e Burkina Faso (quest’ultimo proposto per la seconda volta, e in programma per gennaio-febbraio 2008). Ma altro non c’è, o se c’è non si vede (che di questi tempi è più o meno lo stesso). Per rendersi conto del ritardo accumulato basta guardare ad altri Cantoni (ad esempio www.akte.ch), e soprattutto oltre confine. In Inghilterra Tourism Concern (www.tourismconcern.org.uk) è molto presente nel dibattito pubblico, e frequentemente consultata anche dal governo. In Italia l’Associazione italiana turismo responsabile (www.aitr.org), che raccoglie le numerose organizzazioni attive in questo campo, tra cui diversi Tour Operator specializzati (www.viaggisolidali.it; www.viaggiemiraggi.org), ha elaborato una dettagliata “Carta d'identità per viaggi sostenibili”, ha promosso una campagna pubblicitaria nazionale, e pensa a un marchio e forme di certificazione. Senza stracciarsi le vesti o magnificare le imprese altrui, è dunque opportuno prendere atto del fatto che nel nostro territorio non è conosciuto né sperimentato il principale modello di sviluppo turistico alternativo a quello tradizionale di cui, in un articolo recente, abbiamo sottolineato i non pochi limiti. Parliamo esattamente di questo, di un modello di sviluppo economico, e non solo di buone intenzioni moralmente apprezzabili (il che pure non guasta), dal momento che il turismo responsabile, dopo alcuni decenni di intensa elaborazione e sperimentazione, è in grado di offrire un insieme di pratiche concrete ed efficaci.
Ma cosa intendiamo dunque per “turismo responsabile”? È un turismo ispirato a principi di giustizia sociale ed economica, al rispetto dell’ambiente e delle culture; un turismo leggero, sostenibile, solidale, che migliora il territorio e incide positivamente sulla qualità della vita di chi vi abita. È attento alla qualità piuttosto che alla quantità, e al bisogno tralascia le ossessive statistiche delle presenze in favore della creazione di equilibri durevoli e condivisi. Proviamo, in estrema sintesi, a riassumerne i principi. I viaggiatori responsabili sono correttamente informati prima della partenza sui luoghi che vanno a visitare, senza promesse di paradisi artificiali, immagini da cartolina o stereotipi banali. Una volta arrivati a destinazione, si soggiorna di preferenza in alberghi di piccole dimensioni, gestiti da gente del posto, o anche presso le famiglie, e si consumano prodotti del territorio. Per la maggior parte del tempo si condivide la vita quotidiana dei locali, invece di assistere a improbabili spettacoli folcloristici per anime semplici. Nonostante questi vantaggi, il turismo responsabile non costa più di quello organizzato, anche se una parte molto maggiore dei guadagni resta alle comunità locali, anziché nelle mani delle grandi multinazionali del turismo. E propone senza dubbio viaggi molto più autentici e interessanti. Anche dal punto di vista dell’offerta il fondamento del turismo responsabile, il suo valore aggiunto, è proprio il coinvolgimento della comunità locale. Questa dovrebbe essere la norma, naturalmente, e solo gli abitanti del territorio dovrebbero scegliere tempi e modi dello sviluppo turistico, ma la realtà è spesso ben diversa, quando scendono in campo interessi forti e organizzati.
Sino a qualche anno fa il turismo responsabile era considerato quasi esclusivamente uno strumento della cooperazione internazionale e del sostegno allo sviluppo in Africa, Asia e America Latina, attraverso l’attività delle organizzazioni non governative. Oggi invece i teorici più avanzati guardano con un interesse nuovo a quelle aree rimaste al margine della crescita economica, come i borghi montani, ad esempio, in Italia, quelli distribuiti lungo tutto l’arco dell’Appennino. Qui si lavora per mantenere in vita i piccoli paesi e garantire così la tutela del territorio, trattenendo i giovani grazie alle prospettive d’impiego nel turismo, e limitando lo sviluppo delle seconde case, in favore della diffusione di Bed & Breakfast o dell’albergo diffuso. Si cerca soprattutto di valorizzare tradizioni, mestieri e prodotti della cultura locale, quando questa è ancora viva, e non “impagliata” nei musei. Il turismo può essere prezioso a questo fine, perché nel presentarsi ai turisti, venuti da lontano appositamente per questo, gli abitanti riscoprono essi stessi con orgoglio la propria identità (vedi ad esempio
www.ibrigantidicerreto.com).
Questo percorso, e questa riflessione, hanno molto da offrire anche al Ticino. Infatti, come sappiamo, caratteristica del Cantone è la coesistenza in breve spazio di due realtà profondamente diverse: da un lato le scintillanti e mondane città lacustri, dall’altro le valli tranquille e appartate. Due tipi di possibili esperienze e quindi di clientela: eleganti e cosmopoliti turisti internazionali nelle città, austeri camminatori, per lo più tedeschi o svizzero-tedeschi, nelle valli. La combinazione di offerte così diverse va a tutto vantaggio del Cantone, non c’è dubbio, ma crea anche problemi di cui è bene essere consapevoli. Turismi diversi richiedono infatti diversi modelli di gestione, e soprattutto le valli ticinesi trarrebbero beneficio dall’adozione di pratiche di turismo responsabile. Il primo passo potrebbe essere la realizzazione di materiale informativo che presenti in forma chiara e sintetica le linee guida per realizzare iniziative ispirate a questi ideali. Una volta superata l’inerzia e la resistenza al cambiamento di cui tutti soffriamo, potremmo scoprire che il turismo responsabile non è solo più etico, ma ha anche una sua concretezza economica sul medio e lungo periodo: del resto, come dice un proverbio, “la via buona non fu mai lunga”.


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