Mi ha sempre colpito vedere i turisti aggirarsi mal svegli di prima mattina, mescolati a chi si trascina stancamente al lavoro. Chi glielo fa fare... D’altronde la giornata del turista di regola comincia e finisce presto: nella seconda metà del pomeriggio la maggior parte dei musei, dei monumenti o dei negozi chiude implacabilmente, e le poche forze rimaste bastano solo per tornare sfiniti in albergo, e cenare. Ma è possibile immaginare un “viaggio notturno” (“notturismo”? ©) che ribalti completamente questa prospettiva? Per esempio la vista, che monopolizza anche oltre il dovuto i nostri viaggi, perde d’importanza, in favore degli altri sensi, soprattutto l’udito e l’olfatto; e l’impulso a fotografare tutto, afflizione del turista, si attenua (sarebbero comunque col flash, e quindi diverse dal solito).
Di certo l’idea che il giorno sia il tempo “naturale” per il viaggio è profondamente occidentale. Forse per questo pochi viaggiatori nostri hanno praticato seriamente il viaggio notturno: tra questi Italo Bertolasi (www.nuoveterre.it), che ha frequentato soprattutto le culture asiatiche, nelle quali questa forma di viaggio ha invece una sua lunga tradizione. In Giappone per esempio si scalano di notte i monti sacri, come il vulcano Ontake (ecco che la luce non viene più dal cielo, ma dal centro della terra), da sempre luogo di culto, attraversando bellissime foreste primigenie, sostando nelle grotte e presso le cascate, accendendo fuochi, celebrando riti, e salutando l’alba con un banchetto. A Bali si ascende di notte un altro vulcano, il gigantesco Agung, proteggendosi con riti appositi dalla violazione del tabù: e dunque bisogna scegliere il momento propizio, di solito nelle notti di luna piena, ed essere ben accompagnati, per non incontrare demoni, o essere scambiati per tali. In queste forme il viaggio notturno s’ispira naturalmente al viaggio sciamanico, ricerca la vicinanza coi morti, è per definizione un percorso interiore. Del resto la luce è sinonimo di ragione, di controllo, mentre il viaggio notturno serve soprattutto a sfidare e vincere le proprie paure più profonde.
Il “notturismo” può essere praticato anche vicino a casa, e in forme più semplici. Può essere particolarmente interessante ricercare luoghi senza luce artificiale, per imparare a vedere nella luce lunare, quasi sempre più che sufficiente, una volta che ci si abitua. Provate per esempio a camminare di notte in un bosco: dapprima vi spaventerà un poco (anche se non è certo più pericoloso di molti itinerari cittadini), ma poi vi sorprenderà piacevolmente. Non dimenticate poi il “notturismo” urbano: per esempio i cultori del “turismo sperimentale” (www.lonelyplanet.com/experimentaltravel) hanno provato a visitare una città arrivandovi di sera per poi ripartire all’alba, senza vederla mai alla luce del giorno. Imitateli: avrete ricordi diversi dal solito, e vi imbatterete in persone che di giorno non vedreste mai, perché lavorano di notte, o comunque hanno altri ritmi di vita. Imparerete che anche la notte ha le sue ore, tutte diverse: l’animazione della tarda serata, la calma che segue la mezzanotte, sino all’ora più profonda della notte, tra le due e le cinque del mattino, quando il giorno sembra non dover tornare mai. L’ora in cui spesso si nasce o si muore, quando i monaci si levano per pregare; l’ora dei sogni peggiori, che Ingmar Bergman ha raccontato in un suo film, “L’ora del lupo”, come anche la sapienza popolare chiama quel tempo senza speranza.
Di certo l’idea che il giorno sia il tempo “naturale” per il viaggio è profondamente occidentale. Forse per questo pochi viaggiatori nostri hanno praticato seriamente il viaggio notturno: tra questi Italo Bertolasi (www.nuoveterre.it), che ha frequentato soprattutto le culture asiatiche, nelle quali questa forma di viaggio ha invece una sua lunga tradizione. In Giappone per esempio si scalano di notte i monti sacri, come il vulcano Ontake (ecco che la luce non viene più dal cielo, ma dal centro della terra), da sempre luogo di culto, attraversando bellissime foreste primigenie, sostando nelle grotte e presso le cascate, accendendo fuochi, celebrando riti, e salutando l’alba con un banchetto. A Bali si ascende di notte un altro vulcano, il gigantesco Agung, proteggendosi con riti appositi dalla violazione del tabù: e dunque bisogna scegliere il momento propizio, di solito nelle notti di luna piena, ed essere ben accompagnati, per non incontrare demoni, o essere scambiati per tali. In queste forme il viaggio notturno s’ispira naturalmente al viaggio sciamanico, ricerca la vicinanza coi morti, è per definizione un percorso interiore. Del resto la luce è sinonimo di ragione, di controllo, mentre il viaggio notturno serve soprattutto a sfidare e vincere le proprie paure più profonde.
Il “notturismo” può essere praticato anche vicino a casa, e in forme più semplici. Può essere particolarmente interessante ricercare luoghi senza luce artificiale, per imparare a vedere nella luce lunare, quasi sempre più che sufficiente, una volta che ci si abitua. Provate per esempio a camminare di notte in un bosco: dapprima vi spaventerà un poco (anche se non è certo più pericoloso di molti itinerari cittadini), ma poi vi sorprenderà piacevolmente. Non dimenticate poi il “notturismo” urbano: per esempio i cultori del “turismo sperimentale” (www.lonelyplanet.com/experimentaltravel) hanno provato a visitare una città arrivandovi di sera per poi ripartire all’alba, senza vederla mai alla luce del giorno. Imitateli: avrete ricordi diversi dal solito, e vi imbatterete in persone che di giorno non vedreste mai, perché lavorano di notte, o comunque hanno altri ritmi di vita. Imparerete che anche la notte ha le sue ore, tutte diverse: l’animazione della tarda serata, la calma che segue la mezzanotte, sino all’ora più profonda della notte, tra le due e le cinque del mattino, quando il giorno sembra non dover tornare mai. L’ora in cui spesso si nasce o si muore, quando i monaci si levano per pregare; l’ora dei sogni peggiori, che Ingmar Bergman ha raccontato in un suo film, “L’ora del lupo”, come anche la sapienza popolare chiama quel tempo senza speranza.
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