martedì 5 settembre 2006

Un viaggio ebraico nell'assoluto presente, in una concretezza senza memoria, è probabilmente impossibile. Per indicare il "viaggiare" si usa in ebraico la parola nasa', e a essa si ricorre per definire i tipi piu' vari di spostamento, dal volo in aereo al trasferimento via terra, in macchina o in treno, oppure sull'acqua, in nave. Nell'uso moderno è un vocabolo quasi neutro, ma in antico, nella prosa della Scrittura, nasa' era innanzitutto un verbo-gesto, che indicava l'azione con cui si tolgono i paletti della tenda. Era un rito del deserto, con il quale si smontava l'abitazione provvisoria per ripiegarla e trasportarla altrove.
Si puo' dire che in questa allegoria linguistica della tenda sia contenuta la definizione dell'intrinseca mobilità del Giudaismo. Cosi' come la tenda consente di dislocarsi recando con sé tutti i propri beni, la diaspora è possibile grazie alla trasferibilità dell'identificazione ebraica di sé, che permette di ricostruire altrove gli elementi essenzaili di cio' che si è dovuto abbandonare nella stazione storica precedente. (Giulio Busi, Il Sole24Ore)



Da: www.cartoonbank.com

Il mio paese [S.Stefano Belbo] sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino... Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là. Cesare Pavese, "Paesi tuoi", 1941.

Così questo paese, dove sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto.Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuole dire non essere soli, sapere che quando non ci sei qualcuno resta ad aspettarti. Non sapevo che crescere vuol dire andarsene. Cesare Pavese, "La Luna e i Falò" (posted da Andrea)
Sono nato a Des Moines - si doleva Bill Bryson in "The Lost Continent" - Capita.

Non è vero che i viaggi avvengono nella testa, che si puo' viaggiare rimanendo a casa, che si possono fare viaggi stupendi con la mente. No, non è vero. Il viaggio nasce nella testa, matura, ma per esistere ha bisogno di assorbire linfa attraverso i sensi, toccare, sentire, annusare, assaggiare.
Quello mentale è un sogno, non un viaggio. Puoi deciderne i tempi, le condizioni, i ritmi, le pause. Non sollecita i sensi. (...) Pensare il viaggio significa veder scorrere davanti al proprio occhio interiore una metafora di paesaggio. Stando fermi, come davanti a uno schermo. Si è registi e spettatori di quel viaggio, non attori. Spostarsi fisicamente, questo fa la differenza.

Marco Aime, "Sensi di viaggio", Ponte alle Grazie 2005.

E in un famoso passaggio della "Via per l'Oxiana", Robert Byron descrive il viaggiatore come uno schiavo dei propri sensi: La sua presa su un fatto puo' essere completa solamente quando è rafforzata dalla prova sensoriale; egli puo' conoscere davvero il mondo soltanto quando lo vede, lo sente e lo annusa.